La casa che non c’è (e se c’è rimane vuota)

Società Disponibilità ridotta, affitti troppo cari e stipendi troppo bassi. Eppure in provincia è sfitto il 27% degli appartamenti: un’emergenza sociale

Da qualche anno abitare in città è diventato un lusso per pochi, molti residenti hanno preferito trasformare stanze e seconde case in alloggi per turisti, considerati più remunerativi. Altri hanno preso casa fuori, in provincia, con i soldi incassati dalle vendite. Dunque il mercato dell’affitto si è molto ridotto, funziona in parte ancora solo per chi può dare solide garanzie, per esempio i frontalieri. Un pezzo del ceto medio - statali, infermieri, docenti, oppure tecnici, operai e autisti - fa fatica. Spesso raccontiamo di infermieri o insegnanti che firmato il contratto non trovando casa per la propria famiglia si trasferiscono in province più economiche, dove le paghe sono identiche. Gli alberghi per camerieri e inservienti riservano alloggi interni, imprese e associazioni datoriali stanno cercando insieme alla Prefettura delle soluzioni di respiro.

Fondazione Scalabrini calcola che una famiglia con due bambini per pagare l’affitto a Como in una casa da 90 metri quadrati deve guadagnare almeno 4.400 euro per campare. Uno stipendio non basta. Oggi a Como un affitto in città, stima sempre Fondazione Scalabrini, per un appartamento da 90 metri quadrati costa 1.332 euro, anche vivendo in un alloggio più piccolo in media il canone incide per il 30% sul reddito netto. Per riuscire ad abitare in una casa da 65 metri quadrati bisogna guadagnare almeno 3.200 euro al mese. I nuclei monoreddito devono fare le valigie o almeno allontanarsi. E se si guardano le fasce di reddito dei comaschi, il 38% delle famiglie si colloca sotto ai 15mila euro annui. La proprietà edilizia e i costruttori propongono allora di trovare nuove leve fiscali per incentivare gli affitti e suggeriscono di investire in nuova edilizia residenziale, sistemando i tanti appartamenti da riqualificare. Basti pensare che il 19% delle abitazioni in città è sfitto, sono 9.067 abitazioni. Molte, è vero, sono seconde case, alcuni in verità sono case vacanza, il patrimonio non utilizzato è comunque grande. In totale in provincia le case vuote sono 99.797, il 27%. L’accesso alla casa è quasi sbarrato per le fasce più deboli, per chi ha fragilità economiche, per chi ha perso e ritrovato il lavoro. I meno abbienti in teoria avrebbero accesso alle case popolari. Ma secondo il sindacato degli inquilini della Cisl in città ci sono più di 200 alloggi pubblici vuoti o inagibili. Nel 2023 le domande avanzate all’Aler dai cittadini a Como sono state 443, a fronte di soli 68 alloggi assegnabili, quindi il 15% dell’utenza ha trovato riscontro. Sempre il sindacato Sicet ha appena concluso il calcolo per il 2024. Nel capoluogo sono state presentate da cittadini aventi diritto 639 domande tra Comune e Aler per accedere ad una residenza convenzionata, le assegnazioni però sono state 51, ovvero il 7,9%. Contando anche i Comuni più vicini su 666 domande quelle accolte sono state 56, l’8,6%. A livello provinciale la percentuale scende al 7,5%, 2496 domande contro 188 chiavi consegnate. Con un ultimo dato preoccupante: sul totale delle domande avanzate 405 riguardano nuclei considerati indigenti, poveri. Ci sono Comuni, racconta Sicet, che da anni non mettono a bando alloggi. Certo, le domande possono sommarsi su più ambiti, ma è chiaro che tante famiglie in difficoltà non hanno spazi. A Mariano Comense per 30 richieste sono stati consegnati due appartamenti, a Rovellasca per 75 domande sono stati assegnati cinque alloggi, a Villa Guardia per 51 richiedenti zero risposte.

Infine la casa è un miraggio per i migranti e più in generale gli stranieri, anche se percepiscono stipendi sicuri. Dunque da anni anche il terzo settore, la chiesa e parrocchie come quelle di Rebbio, stanno cercando di attrezzarsi per riqualificare, aprire e gestire case da assegnare a nuova linfa in arrivo in città. Abitano così a Como decine e decine di giovani, lavoratori e nuove famiglie.

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