«La mia vita tra le macerie della guerra»

La storia Gennaro Giudetti, prima volontario e ora operatore umanitario: «A Gaza la mia esperienza più atroce»

Una vita tra le macerie lasciate dalla guerra, tra chi è nato in povertà e chi ha perso tutto, uomini e donne a cui è stata strappata ogni cosa, spesso anche la dignità, ma che hanno ancora il coraggio di rialzarsi, nonostante tutto.

E, se ci riescono, spesso è anche per merito di persone come Gennaro Giudetti, operatore umanitario da quasi 15 anni, prima come volontario e ora per le Nazioni Unite. Si è buttato in questo mondo quando era ancora un ragazzo ma, subito, ha capito che quella era la sua strada: aiutare il prossimo.

“Con loro come loro”

In questi giorni sta girando le scuole di tutta Italia presentando il suo libro, scritto con Angela Iantosca, dal titolo “Con loro come loro”, che racconta storie di donne e bambini in fuga. Una testimonianza molto toccante, alla quale hanno assistito anche circa 200 studenti delle Canossiane, oltre all’incontro pubblico che si è svolto a Rebbio. «Ho iniziato nel 2010 con il servizio civile internazionale in Albania, aiutavo i senza dimora – racconta Gennaro, 33 anni - Poi mi sono spostato in Kenya con i ragazzi di strada. Ho fatto parte dell’Operazione Colomba, corpo civile di pace, e sono stato in Libano, Palestina e Colombia, poi mi sono dedicato ai salvataggi in mare con la nave Sea-Watch. Fino a qui è stato tutto volontariato, poi è diventato un lavoro vero e proprio con Medici Senza Frontiere in Africa per l’emergenza Ebola e altre epidemie». È quindi tornato in Italia per affrontare l’emergenza Covid a Codogno e Lodi, poi il viaggio in Yemen: «Negli ultimi anni sono stato in Afghanistan e Siria, infine a Gaza. Lì ho facilitato l’ingresso dei camion, per lo stoccaggio del cibo e distribuzione alla popolazione civile dei generi di prima necessità. Da circa 15 anni mi occupo di emergenze e conflitti internazionali, ma quella di Gaza è la situazione più drammatica che io abbia mai visto. Lì la guerra è peggio di quello che vediamo in tv, non si sa davvero cosa accade. La gente ha difficoltà per la ricezione di cibo, acqua e medicinali, sono al collasso e in più li sfollano da un posto all’altro. C’è una disumanizzazione del nemico, della vittima. Bombardamenti continui, droni, elicotteri, cecchini, in più i civili non possono scappare perché hanno chiuso l’accesso all’Egitto. Sono in gabbia, tutti bloccati al sud della striscia. La gente è ammassata lì, una situazione drammatica. L’intervento umanitario è fondamentale, anche se ci rendono il lavoro più complicato perché non siamo persone gradite. C’è una violazione palese dei diritti umani».

I nomi sulle braccia

I rischi, come è facile immaginare, non mancano. «Dovevamo andare in una zona dove c’erano i nostri magazzini, ma qualche minuto prima era stata bombardata, fortunatamente eravamo arrivati in ritardo – sottolinea Gennaro - Una situazione così difficile e complessa solo lì, nemmeno in Ucraina o Siria. I bambini avevano sulle braccia i nomi, nel caso avessero perso le mamme. Tutti vivono negli stessi palazzi, ci sono bombardamenti di notte che sterminano intere famiglie. Sono spariti dei cognomi. Ora sto portando la mia testimonianza in giro per l’Italia, faccio incontri pubblici, ma soprattutto è fondamentale parlare in scuole e università. Sono sempre tutti molto interessati: a volte pensiamo che i ragazzi possano annoiarsi, invece sono molto attenti, anche per delle ore».

E conclude: «Non so ancora quale sarà la mia prossima destinazione, ci sono tantissime crisi internazionali ed emergenze. Sto cercando di rientrare in Italia, ma non è semplice. Come si fa a dire di no a un’emergenza come quella? Per diventare operatore umanitario, la formazione è fondamentale prima di partire, bisogna sapere stare sul campo. Sono richiesti titoli di studio e le lingue. Sono esperienze molto forti e intense».

© RIPRODUZIONE RISERVATA