«L’amore per Dio»: la vera forza
di don Roberto Malgesini

Il ricordo A quattro anni dalla morte di don Malgesini, don Alessandro Di Pascale ne tratteggia un bel ritratto

Don Alessandro Di Pascale, oggi cappellano del carcere e dell’ospedale di Sondrio, ricorda ancora perfettamente cosa stesse facendo la mattina del 15 settembre del 2020. «Stavo guidando per andare a dir messa quando ho ricevuto la telefonata di don Roberto Bartesaghi. Era per dirmi che avevano accoltellato don Roberto Malgesini e che era morto. In quel momento, ho bloccato l’auto in mezzo alla strada (e la Provvidenza ha voluto che dietro di me non ci fosse nessuno), tanto ero sconvolto».

Ancora adesso, a tratti, appare complicato tornare con la memoria a quegli istanti. Si tratta di momenti rispetto ai quali, tuttora, prevalgono certe domande, certi quesiti, certi perché che probabilmente resteranno sempre senza risposta alcuna. Però, di fronte al mistero della vita – e, specularmente, della morte – non ci si può sottrarre. E bisogna andare avanti.

L’anniversario

Tra pochi giorni saranno trascorsi quattro anni, appunto, da quel tragico 15 settembre. Un punto di svolta per don Alessandro, che con don Roberto Malgesini ha condiviso l’intero cammino del seminario, fino all’ordinazione sacerdotale, il 13 giugno del 1998. «Come compagni di messa, pur vivendo in zone differenti della diocesi, abbiamo sempre avuto la grazia di trovarci regolarmente, all’incirca ogni mese, per continuare a condividere qualche istante insieme. L’ultima volta prima dell’assassinio di don Roberto è stata a giugno di quell’anno: una giornata intera di pellegrinaggio al santuario della Beata Vergine del Bisbino, sopra Cernobbio».

Un’occasione particolare, ricorda il sacerdote. «Di solito trascorrevamo insieme una mattinata: quel giorno, invece, siamo riusciti a stare insieme fino al pomeriggio, per un tempo prolungato di preghiera e di convivialità, slegati per qualche ora dagli impegni che riempiono la quotidianità».

E, a ripensarci oggi, «anche in quel caso riesco a leggere il disegno della Provvidenza: non capitava da anni di trovarsi fianco a fianco per così tanto. A posteriori, rivivo quel momento quasi come il saluto finale di don Roberto a noi, suoi compagni, prima del dono totale della vita».

Per don Alessandro, «lui è stato vero uomo e vero prete, che ha scelto di servire gli ultimi e di mettersi dalla loro parte. Quando ci comunicò la decisione di seguire i poveri, per noi non fu una grossa sorpresa: già negli anni vissuti in parrocchia,aveva espresso la fatica di vivere il ministero dentro tale struttura e aveva iniziato a incontrare le persone della strada, con uno stile di ascolto inconfondibile».

La sua opera

Ma, si badi bene, «la sua non è mai stata mera filantropia. Nulla di male, ci mancherebbe, ma definire tali le sue opere sarebbe come sminuirle. Don Roberto ha fatto quello che ha fatto in quanto animato da un amore grandissimo per il Signore. Le sue giornate iniziavano sempre di fronte all’Eucarestia: a portarlo a servire il Corpo di Cristo negli ultimi è stata proprio la preghiera, divenuta concretamente azione di salvezza e di liberazione per gli emarginati».

Don Di Pascale ricorda anche un altro aspetto, forse meno conosciuto, di don Malgesini. «Com’è vero che ha saputo dare la sua vita per i poveri, così – in vita – ha saputo fare per i confratelli sacerdoti. Ancora oggi mi chiedo come facesse a capire all’istante i problemi dei preti: quando intuiva che qualcosa non andava, non si faceva scrupoli e veniva direttamente da te, per aiutarti e per sostenerti».

Da qui la convinzione assoluta che «il Signore lo ha portato a essere sacerdote diocesano fino all’ultimo, al servizio di una parrocchia tanto estesa, quanto invisibile: è quella dei carcerati, dei poveri, degli immigrati e delle prostitute».

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