L’Olocausto dei bambini: in loro l’essenza del genocidio. «La piccola Emilia, di cui parla Primo Levi, fu arrestata a Como»

Elisabetta Lombi Il racconto dei bimbi della Shoah: ne morirono un milione e mezzo. «Sono cifre che fanno venire i brividi. In fondo, era proprio questo l’obiettivo dei nazisti: sterminare una stirpe»

«La riflessione sui bambini nella Shoah è fondamentale: qui, infatti, risiede l’essenza del progetto genocidario del secolo scorso». Non è dunque sbagliato parlare di “strage degli innocenti”: un milione e mezzo di piccoli uccisi nel corso della Seconda guerra mondiale, colpevoli soltanto di essere ebrei. «Sono cifre che fanno venire i brividi. In fondo, era proprio questo l’obiettivo dei nazisti: sterminare una stirpe, cancellare totalmente un popolo dalla faccia della terra».

Elisabetta Lombi, docente di Storia e filosofia al liceo “Giovio” di Como, dal 1995 studia questa pagina a dir poco dolorosa della storia contemporanea. «Insegnavo ancora alle scuole medie quando iniziai a pormi il problema di come affrontare, con i ragazzi, il tema. Ho scelto di approfondire un punto di vista a loro vicino». Del resto, «chi rappresenta il futuro di un popolo se non i bambini? Ecco perché non possiamo parlare assolutamente di vittime casuali: lo sterminio dei più giovani rappresentava un obiettivo preciso della Germania nazista di Hitler».

In quasi trent’anni di studi e approfondimenti, sono molte le esperienze che ha vissuto Lombi in prima persona. A partire dalla visita al memoriale dei bambini al Museo dell’Olocausto di Gerusalemme. «Passare in questa galleria ti cambia, davvero: vedi proiettati alle pareti i volti dei bambini deceduti nel corso della Shoah con tante piccole fiammelle. Una voce in sottofondo, nel mentre, pronuncia il loro nome, assieme a qualche tratto biografico: ci si impiega due anni a sentirli tutti».

Di questa visita parla anche il teologo e biblista Paolo De Benedetti in “Quale Dio? Una domanda della storia” (Morcelliana, 1996). «“Dire” questi nomi – si legge nel libro – è, nello stesso tempo, il segno della nostra totale impotenza di fronte al male e l’atto più religioso che possiamo compiere. Impotenza perché la Shoah, di questi bambini, ci ha lasciato soltanto (e non sempre) il nome. Ma il nome, e più che mai a Jad wa-Shem, significa vittoria contro il nulla: una piccola vittoria, un seme di ricordo, che ci consente di affermare davanti all’ombra di Hitler: “Questo bambino è esistito”».

Ancora, «gli storici sono abbastanza concordi nell’individuare l’inizio della Shoah nell’estate del 1941, nei territori dell’Urss occupati dall’esercito tedesco. Dopo i primi massacri di uomini, fu data disposizione da parte dei vertici dell’ufficio centrale di sicurezza del Reich di inserire anche donne e bambini nel piano: si passò, così, a una liquidazione sistematica della popolazione ebraica», a riprova del fatto «che l’obiettivo nazista era tale ancor prima dei campi di sterminio».

La Shoah ha segnato indissolubilmente la storia della provincia di Como. «Molti non sanno – prosegue – che la piccola Emilia, di cui parla Primo Levi in “Se questo è un uomo”, venne arrestata proprio qui, nella nostra città, il 4 dicembre del 1943. Nata il 3 dicembre del 1938, aveva appena compiuto cinque anni quando fu incarcerata a San Donnino con i genitori, Aldo Levi ed Elena Viterbo, e il fratello Italo Gustavo Davide, per essere poi trasferita al campo di raccolta di Fossoli prima della deportazione ad Auschwitz il 22 febbraio dell’anno successivo».

La memoria - o, meglio, la Memoria, con la M maiuscola - è davvero un valore fondamentale. «In tutta la mia carriera non ho mai trovato ragazzi disinteressati all’argomento. L’importante è far capire loro la storia e il perché di certi eventi, sempre cercando di coinvolgerli».

Ecco il motivo per cui, «quando parlo della Shoah, sono contraria alle immagini che mostrano cataste di cadaveri: non scatta nessun tipo di identificazione, tutt’altro. È prezioso, invece, presentare le vittime della Shoah come persone come noi, con una vita, una storia alle spalle interrotta a causa di una vera e propria follia».

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