Luisa, dai tribunali alla comunità: «L’obiettivo è sempre la giustizia»

L’ex magistrato «Quello di don Giusto è un progetto, ma è l’unico che ci può salvare, e io voglio farne parte»

Una lunga carriera al servizio della legge. Una profonda sensibilità per le sfaccettature dell’essere umano e una passione concreta per la ricerca di nuovi orizzonti di senso. Qualità non comuni in un magistrato, ma che non generano stupore in chi conosce Maria Luisa Lo Gatto, magistrata in pensione, da sempre punto di riferimento per la comunità di Como. Non calca più le aule dei tribunali, un mondo in cui è entrata giovanissima, e non ama apparire, ma con determinazione e perseveranza coltiva e porta avanti un’idea nuova di giustizia.

Quella che punta sull’educazione e sulla prevenzione e quella riparativa, declinata nel penale - e soprattutto nel sociale - come giustizia di comunità. Il suo è un ruolo importante di raccordo tra la Legge e tutti quei corpi intermedi che operano per il bene comune.

Relazioni consolidate

«Senza averlo preventivato, tutto il lavoro che avevo fatto per le realtà territoriali è continuato anche dopo la pensione - racconta - La mia figura di magistrato di collegamento non è stata sostituita, ma le relazioni costruite in quattordici anni di lavoro con le reti erano consolidate perciò, di fatto, le realtà del terzo settore e dell’avvocatura hanno continuato a fare riferimento a me sui temi della giustizia riparativa e delle pene alternative alla detenzione».

Maria Luisa si è formata come mediatrice, ha studiato a fondo la riforma Cartabia, partecipa a conferenze, incontra gli studenti. «Mi posso definire un’esperta – ammette sorridendo – e il mio obiettivo di restituzione verso la comunità si gioca su due fronti. Avvocati, operatori del terzo settore, assistenti sociali, educatori hanno bisogno di un riferimento per applicare la legge. L’altro impegno è con la comunità di Don Giusto dove sono volontaria; credo che questa comunità abbia permeato di sé gli obiettivi della giustizia riparativa, lavora per prevenire i rischi di conflitto e di emarginazione, crede nel valore della rete. Ogni iniziativa viene costruita faticosamente cercando di coinvolgere più soggetti possibili, è una comunità che abbraccia la visione più rivoluzionaria della giustizia riparativa che è quella trasformativa, di costruzione di relazioni giuste senza abusi, violenza e sopraffazione, è una visione che mette in discussione l’ordine esistente dando fiducia alle istituzioni, e lo dimostrano le collaborazioni con comune, prefettura, questura, tribunale».

La trappola del crimine

Il giovedì sera Maria Luisa è alla comunità di don Giusto dove insegna l’italiano a un ragazzo egiziano. Arrivato in Italia minorenne è stato accolto da don Giusto e poi collocato in una comunità ma, una volta maggiorenne, è finito in mezzo alla strada ed è tornato a Rebbio: «Questo ragazzo ora lavora e vuole studiare, sostenerlo è importante. Il clima non è sempre sereno e capisco le difficoltà di chi abita nel quartiere, ma è una comunità che ha bisogno del contributo di tutti per ottenere sicurezza e benessere sociale senza cadere nella trappola della criminalizzazione delle condotte e della carcerazione dei soggetti più fragili. Non tutto funziona bene, è un progetto utopico lo so, ma è, secondo me, l’unico che ci può salvare, e io voglio far parte di questo contesto perché la giustizia riparativa va praticata, non basta parlare della teoria».

«La mia figura a metà tra il giurista e il mediatore è particolare - riconosce Maria Luisa - ma la giustizia riparativa aiuta a riconoscere responsabilità che in un processo penale non vengono prese in considerazione o sono addirittura negate, aiuta a capire la complessità e le dinamiche umane... Quasi a mo’ di scherzo ho cominciato a riscrivere il codice deontologico del magistrato. Mi sono accorta che stavo lavorando in modo diverso e che non l’avrei fatto se non avessi seguito il mio percorso, così ho provato a scrivere di certe attitudini, di comportamenti mai presi in considerazione e che sarebbe giusto sviluppare per arricchire il lavoro del giudice, superando l’astrazione di certe enunciazioni e avendo sempre presente che diritto penale e giustizia riparativa sono complementari».

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