Nella casa del boss. Dove si respira aria di legalità

Oltrona Reportage nella cascina che fu della ’ndrangheta. «Lezioni e lavoro con i giovani, così facciamo comunità»

Un cane maremmano si aggira placido tra le oche che becchettano mentre, di fronte all’edificio centrale del maneggio, un gruppetto di studenti dell’istituto Sant’Elia di Cantù sposta con la carriola tronchi e rami, per ammonticchiarli in cataste. Sullo sfondo c’è chi apparecchia lunghe tavolate e chi sistema sedie all’ombra di una foto che ritrae i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Qui dove oggi si parla di educazione civica e di strumenti di lotta contro la criminalità organizzata, una quindicina di anni fa veniva commissionato un omicidio. A ordinarlo il boss della ’ndrangheta Bartolomeo Iaconis. Oggi il suo maneggio è popolato da ragazzi e volontari ed è diventato un angolo di provincia dove si respira l’aria limpida della legalità.

Nell’antro del boss

Oltrona San Mamette, località Tavorella. Nel verde della collina accanto alla Lomazzo-Bizzarone il decanato di Appiano Gentile e la parrocchia di Rebbio stanno ridando vita a uno dei tantissimi beni confiscati alle mafie della provincia di Como.

«Siamo entrati circa tre anni fa - racconta Luca Costantino, responsabile dei lavori e del maneggio - All’inizio lo abbiamo fatto con un po’ di timore, ma poi abbiamo capito che se siamo in tanti, uniti, non c’è nulla di cui spaventarsi. E anche un luogo come questo può diventare una risorsa per la comunità».

«La scommessa - spiega Renzo De Zaiacomo, uno dei volontari storici - è far diventare questo luogo un posto sentito come proprio dai cittadini e dalle persone che lo frequentano». A portare avanti il progetto «un gruppo eterogeneo di volontari - sono le parole di Angelo Rusconi, dialettica brillante, volontario dalle idee vulcaniche - Ci sono gli Amici del verde di Oltrona, la Caritas di Appiano, la parrocchia di Rebbio, il decanato, gli scout... l’idea è aprire questo posto a tutti per creare un gruppo, realizzare varie attività e fare educazione alla legalità. Una domenica al mese fissa organizziamo eventi, lavoriamo insieme, si mangia, invitiamo qualche testimone per farci crescere culturalmente». Il tutto «mantenendo vivo il fatto che questa è un’azienda agricola - dice ancora Luca - Quindi ci sono animali, ci sono attività agricole. Avere gli animali vuol dire essere qui tutti i giorni per marcare una presenza».

Nelle ultime settimane il maneggio che fu del boss Iaconis è stato teatro di vere e proprie lezioni per gli studenti dell’Istituto Sant’Elia: «I ragazzi - conferma ancora Luca - sono venuti ad aiutarci a tenere vivo questo posto. Coinvolgere i giovani è importantissimo». Gli fa eco Angelo: «Abbiamo pensato a un connubio tra esperienza sul campo, lavoro, ascolto per crescere e per spiegare ai ragazzi con cosa si alimenta la mafia».

Lezioni di legalità

Alice Viganò è la volontaria che si occupa dei progetti educativi per i ragazzi: «I racconti che facciamo qui - dice - gli studenti non li sentono spesso. Quello che mi colpisce, durante questi incontri, è il silenzio che si crea e la capacità dei ragazzi di ascoltare. In questo posto ci sono stati pestaggi e intimidazioni e noi volontari stiamo cercando di restituire bellezza, luce, gioia e, con i giovani, speranza».

Dopo un inizio non facile, ora con le scuole si è creato un bel feeling: «Vero, all’inizio abbiamo fatto un po’ fatica, ma adesso che abbiamo iniziato le richieste stanno aumentando. A me ha fatto piacere che ai ragazzi sia piaciuto il fatto che degli adulti abbiano dedicato loro del tempo. Lo hanno apprezzato e hanno ricambiato questa attenzione con l’ascolto». Ascolto e attenzione che non mancano mai, come quando durante le varie “lezioni” è intervenuto Vincenzo Francomanno, carrozziere finito vittima delle estorsioni della ’ndrangheta, uno dei pochi che ha avuto il coraggio di denunciare. E che con i ragazzi parla sempre e volentieri della sua esperienza.

«I ragazzi non conoscono perché non gli si dà l’occasione di conoscere - ci tiene a sottolineare Chiara Beretta, un’altra attivissima volontaria - Quello che mi colpisce sempre è che quando i ragazzi ascoltano la testimonianza del carrozziere vittima delle minacce della ’ndrangheta, lo seguono quasi incantati. Ed è il modo giusto per far passare un messaggio. L’importante è seminare in questi ragazzi che hanno pochi stimoli». Irene Agostoni è la professoressa del Sant’Elia che maggiormente ha voluto regalare ai suoi alunni questa esperienza: «Insegniamo che quando qualcosa non va bene, se ci diamo da fare insieme, è possibile trovare una soluzione. Questi giovani purtroppo non sono responsabilizzati. Gli adulti li considerano degli incapaci e non gli danno fiducia. Se lo si fa, però, loro si mettono in gioco e ti stupiscono. Nel nostro lavoro è importante non solo quello che diciamo, ma anche quello che facciamo» .

Manuel Isarai e Giacomo Franchina sono due studenti: «Quest’anno stiamo facendo un percorso sulla mafia ed è interessante esplorare questo posto e capire cos’è stato». Il tema ’ndrangheta? «Interessa molto... perché sappiamo che può toccare tutti».

«Toccare con mano è fondamentale, non basta il racconto - sottolinea Renzo - La testimonianza diretta per i ragazzi è importantissima». Ed è essenziale farlo in un luogo simbolico come il maneggio del boss, dove anche i muri parlano e hanno storie da raccontare: «Quando siamo entrati - conferma Luca - abbiamo trovato buchi nelle pareti e nel pavimento... un po’ per i lavori che erano in corso, un po’ perché i carabinieri del Ros hanno scavato per cercare soldi nascosti. Nel locale caldaia abbiamo trovato un buco profondo 2 metri e sappiamo che lì sono state trovate decine di migliaia di euro». Ma qual è la risposta delle istituzioni a una realtà come quella di cascina Tavorella?«Agli inizi - ricorda Renzo - c’era una diffidenza legata anche alla non conoscenza. Ora tutti sanno qual è il progetto che stiamo realizzando qui. E il Comitato 5 dicembre, composto dai sindaci della zona, ci sostiene, perché tutti hanno a che fare con questa realtà».

«Siamo fiduciosi - prosegue Angelo - Stiamo lavorando tutti dalla stessa parte, per il bene del paese e per la legalità». Istituzioni, volontari e anche parrocchia e decanato. Perché, per dirla con Annamaria Pagani, della Caritas di Appiano Gentile: «La legalità interessa a tutti, alla chiesa per prima». E il futuro? «Questo è un luogo dove si tessono delle relazioni e così facendo si costruiscono comunità - dice Renzo - Non sappiamo tra cinque anni cosa avremo saputo realizzare, ma siamo testimoni di una sorpresa positiva: persone diverse si sono incontrate, conosciute, si salutano, si parlano e c’è una comunità che sta crescendo». Persone che si affacciano per la prima volta, come Micaela Perlini, giovane studentessa di Albate: «Non sapevo bene cosa aspettarmi e la prima impressione è stata di spaesamento... “dove sono finita?”. Poi mi sono messa a lavorare e credo proprio che questo sia il primo di tanti giorni di volontariato qui». Respirare l’aria della legalità fa bene.

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