Paralimpiadi, sogno proibito per troppi
Inclusione Il rammarico delle campionesse di nuoto con sindrome di Down dell’Osha Asp: «Perché non possiamo andarci?»
«Papà, il mio sogno è andare alle Olimpiadi. Perché non ci posso andare?». Quante volte Lorenzo Franza si è sentito ripetere questa frase dalla figlia Chiara, atleta di punta dell’Osha Como e della Nazionale con sindrome di Down. E quante altre famiglie, come quella della campionessa Dalila Vignando, compagna di Chiara anch’essa down, hanno sentito ripetere queste frasi.
C’è chi si è spinto più ancora più in là, con messaggi social. Come Chiara Zeni, luganese pluricampionessa e detentrice di record mondiali nell’atletica. Sognava le Paralimpiadi di Parigi, che sono in pieno svolgimento: «Spero che la popolarità mia e dei miei compagni aiuti gli atleti con sindrome di Down ad arrivare alle Paralimpiadi: sarebbe fantastico già a Parigi nel 2024. Credo che sia giunto il momento. Se nel passato qualcuno non si è comportato bene e hanno escluso dalle Paralimpiadi gli atleti con disabilità mentale, non vedo perché noi atleti con sindrome di Down ne dobbiamo subire le conseguenze ancora oggi».
Chiara e gli altri sanno infatti perché a loro le Paralimpiadi sono negate. Il processo di integrazione si interruppe per una frode sportiva. A Sydney 2000, la Spagna vinse la medaglia d’oro nel basket con disabilità intellettive, ma ben presto emerse un’amara verità: ben 10 su 12 giocatori della Nazionale spagnola avevano finto di essere disabili.
È per questo motivo che, atleti con disabilità intellettivo-relazionale, maxicategoria in cui si possono far rientrare tanti ragazzi con spettro autistico e con sindrome di Down, sebbene atleti fatti e finiti, in costante allenamento, le Paralimpiadi le possono solo guardare in televisione. Perché ancora oggi restano per larghissima parte una competizione riservata ad atleti con disabilità fisiche.
Ma non è solo lo scandalo del 2000 ad aver bloccato l’accesso ai Giochi delle persone con disabilità: ci sono anche burocrazia sportiva, mancate affiliazioni, forse anche qualche presunto problema logistico nella gestione dei ragazzi. L’Ipc, l’organismo internazionale paritetico del Cio, prese una decisione drastica e impopolare: escluse gli atleti con disabilità intellettiva e relazionale dai Giochi paralimpici, almeno fin quando non fosse stato possibile creare classificazioni in grado di evitare frodi di questo tipo.
«Eppure, se il problema è la “classificazione” dei down – spiega Lorenzo Franza, consigliere di Osha Como ed ex consigliere della Fisdir, la federazione degli sportivi con disabilità intellettivo-relazionali –, di fatto è la disabilità più semplice da dimostrare: basta una semplice mappatura cromosomica».
Ma Franza è soprattutto un padre di una ragazza down, che sogna la massima competizione sportiva e che sente di poter disputare, dopo tante medaglie ottenute nei grandi eventi internazionali: «Per lei è un cruccio, per tutti coloro che hanno a che fare con sport e disabilità è una vera discriminazione, in un mondo in cui si chiede inclusione. Tra l’altro, a voler guardare le prestazioni sportive, ci sono gare dei down più avvincenti, potrebbero anche essere più attrattive dal punto di vista della competizione anche per chi assiste alle gare».
La burocrazia, inoltre non aiuta, perché Fisdir non fa parte dell’Ipc. Non mancano le manifestazioni “alternative”, come gli Special Olympics, con valore soprattutto sociale, o i Trisome Games: «I Global Games sembravano la chiave per la partecipazione dei down alla Paralimpiadi. Ma la volontà politica di non farli partecipare ha prevalso». E non c’è raccolta di firme e interpellanza che tenga. Per questi disabili di serie B, le Paralimpiadi sono solo un bel sogno.
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