«Quando il senso di colpa diventa responsabilità»

La storia La figlia di Moro e il brigatista, la giustizia riparativa è un successo. Agnese: «Ascoltato i mio dolore». Bonisoli: «Mi ha liberato dal mio passato»

È il 7 dicembre 2008 quando, a Milano, cinque persone si incontrano. Sono tre ex appartenenti alla lotta armata e una vittima della violenza degli anni di piombo. C’è anche un mediatore, il gesuita padre Guido Bertagna, che rivestirà un ruolo fondamentale. Inizia così un confronto che si snoderà lungo gli anni, coinvolgerà molte più persone fino a diventare un caso esemplare, simbolico, di giustizia riparativa. Suggellate dal “Libro dell’incontro” (ilSaggiatore, 2015), le esperienze di dialogo tra le vittime indirette del terrorismo e alcuni ex esponenti delle Brigate Rosse, hanno poi cominciato a girare nelle comunità, nelle scuole, nelle università. Incontri non sempre facili e non sempre compresi, che hanno ribaltato certezze e aperto nuovi orizzonti sulla possibilità di rigenerazione e pacificazione delle vittime, spesso lacerate da rabbia e risentimento, e dei responsabili di reato.

L’incontro

Agnese Moro, figlia di Aldo segretario della Dc, e Franco Bonisoli ex rappresentante della lotta armata degli anni Settanta girano l’Italia per portare la propria testimonianza. Sono stati ospiti anche a Como, alla Cometa, lo scorso 9 giugno in un incontro parte del progetto regionale “Un futuro in comune” promosso dal tavolo di Giustizia riparativa di Como con Azienda sociale lariana e comasca, Csv Insubria e comunità “Il Gabbiano”. Tra i relatori anche Anna Borghi, docente comasca che ha contribuito alla stesura de “Il libro dell’incontro”.

“Scorie radioattive” è l’efficace metafora che Agnese Moro utilizza per raccontare il suo dolore. «Scorie che rimangono lì e lasciano conseguenze. Gran parte di te resta congelata in ciò che è avvenuto, i sentimenti sono dentro di te e non trovano voce, e intanto la tua vita continua, una vita di lavoratrice, moglie, madre…. E quei sentimenti muti che si solidificano, come avere un sasso in bocca, ma tu devi dominare e tacitare questi sentimenti. Vivi in una sorta di dittatura del passato e il male consolidato filtra attraverso la maschera che indossi e raggiunge le persone care intorno a te, che quel male non hanno vissuto».

«Quando padre Bertagna mi ha fatto la proposta di incontrare gli ex brigatisti ho detto di no – ha confessato Agnese Moro - Erano passati 31 anni dall’uccisione di mio padre. Ma lui non ha desistito. Ciò che mi ha fatto cambiare idea è stato che, per la prima volta, qualcuno si interessava al mio dolore».

«Non stato per nulla facile – ha confessato - qualcuno disse che “si camminava sui cadaveri”, si dialogava con chi ti diceva che aveva ucciso per un ideale. Per un anno intero abbiamo lavorato solo sulle parole. Abbiamo riattraversato l’inferno e ne siamo usciti trovando riservatezza, accoglienza, amicizia. Ne siamo usciti insieme».

«Ho sentito un peso insostenibile e infinito quando non ho creduto più a quello in cui credevo – ha esordito Franco Bonisoli - improvvisamente vedi le persone e non le “funzioni” o i “ruoli”, ho avuto condanne all’ergastolo meritate, ho visto la sofferenza della mia famiglia, la morte degli amici in carcere. Proprio in carcere ho maturato il desiderio di alleviare un dolore che faccio fatica a giustificare».

«Agnese mi ha sbloccato dall’incatenamento al passato – ha aggiunto Bonisoli - Finalmente ho potuto cominciare a essere nel presente e a guardare al futuro a liberarmi dalle gabbie mentali che sono peggiori del carcere perché sono quelle in cui ti chiudi tu. I mediatori sono stati determinanti nell’incanalare e fissare i momenti dell’incontro».

Un senso che cambia

«Si passa dal senso di colpa al senso di responsabilità. Questa per me è la vera rivoluzione» la sintesi del cammino di Franco Bonisoli.

«Sono entrata nel gruppo dell’incontro nel 2013 – ha raccontato Anna Borghi – e sento ancora il privilegio di averne fatto parte. Se dovessi trovare tre parole chiave per spiegare il senso di quella esperienza userei dolore, cambiamento, generatività. Il dolore ha bisogno di accoglimento e ascolto in una postura di equiprossimità che non è buonismo o giustificazionismo. Il cambiamento è il frutto del dialogo senza pregiudizio che porta a un riconoscimento dell’altro e non necessariamente al perdono. L’insegnamento - conclude - è stato che il dolore è generativo di bene».

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