Sulla disabilità si cambia: inclusione e opportunità

Intervista Il ministro Alessandra Locatelli: «Superare quel concetto antico di chi ha sempre bisogno di aiuto e creare piuttosto un mondo per chiunque»

Le persone con disabilità? Una risorsa. Basta considerarli un problema da risolvere. La sfida per il futuro su questo tema parte proprio da qui. Ne è convinta il ministro alla Disabilità, la comasca Alessandra Locatelli.

Ministro, vogliamo seguire un filo più generazionale che territoriale per questa intervista?

Ci sto.

Perfetto. La prima domanda riguarda i giovani e lo studio. Molte famiglie lamentano una carenza di assistenza per i figli con disabilità a scuola: mancano gli insegnanti di sostegno e, soprattutto, manca una continuità educativa. Cosa si può fare per rendere meno precaria la loro situazione?

Sicuramente il problema esiste. Il ministro all’Istruzione, Valditara, ci sta lavorando e ha dimostrato di voler cambiare le cose, prima di tutto dando la possibilità alle famiglie di scegliere lo stesso insegnante di sostegno per tre anni, proprio per garantire continuità educativa. E poi andando a stabilire nuove regole e percorsi di formazione per gli insegnanti di sostegno. Il lavoro da fare è tanto perché negli ultimi anni molte cose sono rimaste ferme, mentre il numero dei bambini con disabilità ha continuato a crescere e spesso le famiglie sono in difficoltà. Capisco le preoccupazioni, ma i segnali di cambiamento ci sono. Io comunque credo che, come si propone di fare la riforma sulla disabilità, bisogna arrivare a cambiare lo sguardo, cioè iniziare ad avere un approccio che sia di stimolo e valorizzazione e che possa cambiare il punto di vista.

Ci faccia un esempio...

Dobbiamo iniziare a guardare ognuno come una risorsa, e non come un limite. Passare da un concetto di disabilità antico, cioè un sottogruppo di persone che ha sempre bisogno di qualcosa, a un mondo che sia per tutti: accessibilità universale e occasione per tutti. Parliamo di persone, non dimentichiamolo mai.

Dagli studenti e lo studio, passiamo ai giovani e il lavoro: quali sono i progetti più interessanti di inserimento nel mondo produttivo per le persone con disabilità?

Il lavoro è importantissimo, e ben lo sappiamo visto che il nostro Stato si ispira, nella Costituzione, al diritto e dovere del lavoro. Quindi fa parte di un percorso di dignità nella vita delle persone. Ho incontrato il ministro al Lavoro Calderone: ci sono norme da migliorare, ma l’Italia è l’unico Paese in tutta Europa che ha una norma sulla integrazione lavorativa. Su questo punto credo sia importante valorizzare il mondo del terzo settore per creare opportunità: il terzo settore, infatti, sta creando posti di lavoro.

Non è forse solo una questione di opportunità, ma anche di formazione. Non crede?

Sicuramente. Sono convinta che il percorso di orientamento e formazione possa essere migliorato e soprattutto potenziato, in particolar modo con la personalizzazione dei percorsi, così da inserire i giovani nel settore più adatto per loro. Quindi valutare la persona e assegnarle il compito più adeguato. Ma serve anche un figura che accompagni l’inserimento lavorativo, che affianchi questi ragazzi: molti fallimenti avvengono nei primi mesi.

Adulti e autonomia: lei ha partecipato, di recente, a un evento organizzato da Anffas Como alla sala bianca del Sociale il cui tema era proprio quello dell’autonomia delle persone con disabilità. È uno degli aspetti che maggiormente preoccupano le famiglie, soprattutto dopo una certa età… sta cambiando qualcosa?

Questo è un altro punto fondamentale per la dignità e della vita della persona: una dimensione abitativa il più possibile autonoma e indipendente dev’essere rispettata e garantita. Abbiamo una legge importante, la 112 del 2016, che ha tracciato un percorso sul “dopo di noi”, ovvero su cosa succede quando non ci saranno più le famiglie. Abbiamo creato un tavolo, per proporre una modifica della norma affinché diventi sempre di più un “durante” e non un “dopo” di noi. Mi sono accorta della necessità di iniziare prima la presa in carico della persona con disabilità. E quindi verrà proposto un documento a settembre che vada in questa direzione.

A proposito di autunno, l’Italia è chiamata a un ruolo importante con il primo G7 sulla disabilità. Cosa significa?

Per la prima volta nella storia i sette Paesi più industrializzati si ritrovano a confrontarsi su temi come l’inclusione e la disabilità e sono molto orgogliosa sia stata l’Italia a organizzare questo appuntamento, che si terrà in Umbria. È da parecchi mesi che ci confrontiamo dal punto di vista politico e tecnico per darci delle priorità. Già nel G7 in Puglia è stato inserito un paragrafo su questo tema nel documento finale dei leader mondiali. Quello che vorrei fare è dare continuità a questo tipo di attenzione.

Con quali priorità?

Non lasciare indietro nessuno. Solo così le nostre comunità sono più forti e il nostro Paese cresce. Anche economicamente. L’accoglienza delle delegazioni sarà fatta in piazza ad Assisi con le famiglie e le persone con disabilità, con le associazioni che si occupano di queste tematiche: il mondo del terzo settore italiano, che ha un unicum nel mondo, non può certo mancare.

Unicum, perché?

Perché negli altri Paesi le associazioni sono più vicine o al privato o al pubblico, qui invece hanno una loro identità.

A proposito di associazioni, inevitabile parlare della realtà comasca...

Questo territorio ha davvero tante realtà che si occupano di disabilità e che variano dallo sport, alla cultura, alla dimensione sociale, all’assistenziale, ma anche tanto diverse per tipologia della disabilità trattata. Quello che vorrei è unire un po’ di più le forze, fare maggiormente rete, essere di più in contatto, trovare momenti per collaborare e scambiarsi buone pratiche.

Concretamente?

Non voglio spoilerare niente, ma prima della fine dell’anno ci sarà un momento di incontro e di riflessione promosso dal ministero per sentire la voce di tutti, per capire quali obiettivi le associazioni portano avanti. Si può lavorare allo stesso tema in maniera separata, ma sempre scambiandosi buone pratiche. Vorrei che due o tre obiettivi fossero gli stessi per tutti.

Quali?

La promozione del progetto di vita: questo ci consente di dare dignità a tutti. L’accessibilità universale: senza non si può neppure andare dal dottore; non vuol dire solo barriere architettoniche ma anche sensoriali e comunicative. Infine diritto di tutti alla piena partecipazione della vita civile, sociale e culturale della nostra comunità. Questo sarà uno dei principi del G7 declinato in tutti i territori.

Lei ha sottolineato come da noi le associazioni abbiano un’identità propria ma spesso il terzo settore si ritrova a dover sopperire alle mancanze del settore pubblico. Non crede?

Non sono d’accordo. Il terzo settore non vuole sostituirsi al pubblico, ma vuole collaborare con il pubblico. Spesso, in alcuni casi, ci sono taluni livelli istituzionali che non si accorgono del dono prezioso che hanno e magari non si siedono al tavolo con le associazioni per programmare con loro, ma in Lombardia si cerca di portare avanti il lavoro unendo le forze. Lo abbiamo visto anche nella pandemia: solo lavorando insieme si è superata l’emergenza.

Infine, una domanda che riguarda anche Diogene. Qual è il valore della comunicazione sui temi sociali?

Altissimo. Ci sono due aspetti legati alla comunicazione: innanzitutto l’uso delle parole, dei termini e dei concetti, come si utilizzano e come arriva la comunicazione. Quindi c’è un tema legato ai concetti e alle parole che possono distorcere alcuni temi legati alla disabilità e porli in maniera sbagliata. Troppo spesso il tema dell’inclusione e della disabilità viene trascurato e spesso si fa fatica a pensare alle cose da fare in questo campo perché è come se fossero fatte solo per qualcuno, e non per tutti. Così non è, e la comunicazione è essenziale per ribadirlo».

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