Diogene / Como città
Giovedì 18 Aprile 2024
Un progetto di volontariato per le detenute del Bassone: «Libere di amare, di volare e di raccontarsi»
Il progetto Due volontarie del Soroptimist Club accanto a dieci “ospiti” del carcere del Bassone. L’obiettivo? Un laboratorio in cui creare ed esprimersi
«Essere libere: libere di vivere, di volare come vola una farfalla. Essere libere di amare». La parola “libertà” è quella maggiormente presente tra i simboli che decorano le tovaglie realizzate in occasione dell’8 marzo, festa della donna, dalle detenute del Bassone. Una di loro l’ha scritta in arabo, la propria lingua madre, per rivendicare con più forza un’esigenza profonda legata tanto all’essere donna quanto all’esserlo dentro a un carcere.
La pena carceraria lascia nel cuore strascichi difficili da comprendere
Sono dieci le detenute che hanno partecipato al progetto proposto dal Soroptimist Club di Como, che, da sei anni grazie a un protocollo stipulato con il Ministero di Grazia e Giustizia e da prima ancora tramite l’iniziativa delle singole volontarie comasche, segue con percorsi mirati le donne che al Bassone scontano la propria pena. Questa volta le volontarie, Silvia Cantaluppi e Simona Gervasini, hanno scelto di coinvolgerle nella realizzazione di cinque tovaglie, dipinte a mano con simboli, nomi e frasi dalle dieci donne che hanno partecipato al laboratorio, ed esposte nella sala al piano terra della biblioteca di Como.
L’esperienza in carcere
«Si sono raccontate a tutto tondo: una ha persino disegnato il simbolo della sua squadra del cuore, il Milan». Il desiderio forte di presentarsi a chi sta fuori dal carcere è evidente in queste mani realizzate con la tempera, nei nomi scanditi a colori vivaci, nei riferimenti non sempre trasparenti ma certo personali con cui le detenute hanno voluto raccontarsi alla cittadinanza comasca. «Sanno che i cittadini di Como possono vedere le loro tovaglie - spiegano le volontarie - e ne sono entusiaste».
Sono in tutto dieci le donne coinvolte nella realizzazione di cinque tovaglie
Il progetto, che si è svolto per due lunedì a cavallo dell’8 mazzo, in incontri della durata di due ore e mezza, è uno dei tanti che negli anni Soroptimist ha proposto all’interno della sezione femminile del Bassone. Il suo apprezzatissimo precedente era dedicato alla cura della mano delle carcerate: «Noi non vogliamo essere invadenti, non chiediamo mai di raccontarci la loro storia: il nostro obiettivo è offrire un momento di svago e di stacco dalla quotidianità inevitabilmente schematica che si vive in carcere». Così qualche ora prendendosi cura del proprio aspetto o provando a ragionare insieme sul significato del proprio essere donna diventa una pausa dalla realtà del carcere. Una vita di privazioni, a partire proprio da quelle affettive come si intuisce leggendo un’altra scritta, tracciata in rosso con le dita sulla tovaglia: “forever my family”. «Ricordo una ragazza che durante un progetto, qualche anno fa, mi raccontava di questa sua bimba di cinque anni - spiega Simona - Io non le avevo chiesto nulla, ma lei me lo ripeteva sempre. Sono momenti toccanti e sono anche i momenti in cui noi volontarie, che non abbiamo le competenze per affrontare il loro passato o la storia che le ha portate al Bassone, ci rendiamo conto di quanto queste persone si sentano fondamentalmente sole». Allora si va in carcere per portare un po’ di vita, dell’aria che si respira fuori, della quotidianità fatta dei piccoli imprevisti quotidiani, quelli che poi in una cella mancano come mai si potrebbe immaginare. «Loro sono informate su quello che accade nel mondo - racconta Silvia - guardano i notiziari in televisione, ma soprattutto amano le serie tv. Ultimamente ci parlano sempre di “Mare fuori”».
Storie che lasciano il segno
A volte però capita che, senza che le volontarie si arrischino a fare domande invadenti, le detenute scelgano di propria volontà di aprirsi: si scopre così che il carcere, per alcune, è un portato famigliare, raccontano di padri che dal carcere sono passati, o di famiglie con storie complesse. «Però non ci chiedono mai nulla: né oggetti, né favori, nessuna richiesta - sottolineano le volontarie - ci dicono che con noi stanno bene e di questo siamo contente». Non sempre è tutto facile, naturalmente: la pena carceraria lascia nel cuore strascichi difficili da comprendere e tantomeno da spiegare. «Capita che al secondo laboratorio qualcuna non si presenti: ci dicono di essere stanche, di non sentirsela di stare nella stessa stanza di un’altra donna con cui non hanno un bel rapporto. Capita anche questo, noi però cerchiamo di motivarle». E alcune si lasciano motivare, come singole e come gruppo, al punto da arrivare a imprimere, con tempera viola e segni tracciati da dita un nome collettivo: “le donne del Bassone”.
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