Un rifugio in alto per aiutare chi sta in basso

Un motto non solo per i volontari del “Rifugio degli angeli” (Val d’Aosta) ma anche per chi diventa loro ospite

Entrare al Rifugio degli angeli, a 2916 metri di altitudine in Val Grisenche (Val d’Aosta), significa fondamentalmente due cose: gustare una tazza di thé caldo e molto zuccherato per alleviare le fatiche della scalata e incontrare volti accoglienti. Sono i volti dei gestori, volontari che per passione dedicano una settimana della loro estate alla gestione del rifugio, tra ore di lavoro cucina e sali scendi lungo i sentieri di montagna per trasportare i viveri fin quasi a quota tremila e la spazzatura a valle.

Gli “angeli” che danno il nome a questo luogo incastrato tra picchi rocciosi, sotto la Testa del Rutor, cima delle Alpi Graie, invece, sono altri volontari ancora, quelli che dal 2003 al 2005 costruirono a mano , mattone per mattone, il rifugio dove ora tanti appassionati di montagna si godono il silenzio dei monti, dopo la lunga salita. I sorrisi di quei giovani rallegrano le mura interne di una struttura che fin dalla prima vista non può che far pensare alla parola casa. «Caro ospite, benvenuto al Rifugio degli angeli - si legge sul bancone, non appena si varca la soglia - ci piacerebbe spiegarti il motivo per cui questo rifugio è così importante e speciale. È stato costruito da giovani volontari: tutto ciò che comprate sarà donato ai poveri dell’America Latina, dove ci sono le missioni del Mato Grosso». Salire in alto, appunto, per aiutare chi lassù non è mai arrivato, come recita il motto stampato sulle magliette che i rifugisti vendono agli avventori più affezionati al rifugio.

Ma avvolgiamo il nastro, torniamo indietro di 1200 metri e qualche ora di camminata, perché l’esperienza al Rifugio degli angeli la si può raccontare solo salendo. Quest’estate abbiamo portato Diogene in montagna e ci siamo arrampicati per ore insieme a un gruppo di rifugisti volontari, tutti comaschi: Tonino e Andrea Frigerio, padre e figlio, Alessandro Maspero, Emma Besana, Elisa Sartorello, Martina Petetta, Laura Filigura, Saliou Diallo e Rita Tomasella.

Gli zaini pesano, nonostante tutte le buone intenzioni di riempirli solo con lo stretto necessario: dormire a quasi 3000 metri non è esperienza di tutti i giorni e per alcuni dei membri della “spedizione” è sicuramente inedita. Non per i rifugisti che camminano con noi ovviamente: i loro, di zaini, contengono il necessario per sopravvivere un’intera settimana, prestando servizio agli ospiti, oltre a ciò che torna utile al servizio stesso. C’è chi si arrampica con le mele che serviranno per i dessert e chi porta con sé formaggi per i deliziosi primi da proporre a chi arriverà stanco e affaticato fino al rifugio, nei giorni a venire.

Così, guidati d alle persone che ormai da anni salgono una volta ogni estate lungo il sentiero, si cammina fino al rifugio, preceduto da chiazze di neve solitarie, incuneate tra i sassi. «Le prime volte ne incontravamo molte di più, anche ad agosto - spiegano i volontari che ci accompagnano - e poi già a questa altitudine alcuni di noi avevano freddo e preferivano coprirsi, prima di terminare il sentiero». Non è il caso del rovente agosto del 2023 nel quale ci siamo avventurati sulle Alpi Graie: anche il Rifugio degli angeli infatti è stato ormai raggiunto dal cambiamento climatico, nonostante sembri, a chi lo frequenta, uno dei posti più isolati e protetti del mondo.

La struttura, ben curata, è accomodata tra le rocce, con una terrazza a sbalzo sulla valle sottostante, che invita a spalancare gli occhi sui prati verdi, i rigagnoli d’acqua, il laghetto glaciale così azzurro da non parer vero e verso la corona di cime che decora l’orizzonte, dove svetta maestoso il Cervino. Torniamo così all’inizio di questo racconto, al momento in cui si varca la soglia del rifugio, cosparsa in ogni angolo di scarpe e scarponcini: nessuno trasgredisce la regola di lasciarli all’entrata, per non sporcare i pavimenti.

La montagna, tra i tanti miracoli che sa fare, è capace anche di accentuare il rispetto reciproco tra gli uomini, che tra le cime si mostra con tante sfaccettature diverse: un giovane appassionato di astronomia che indica le stelle e le loro storie agli amici e ai tanti altri ospiti del rifugio, per il puro gusto di condividere una passione; due camminatori solitari che si incontrano ai tavolini esterni del rifugio e si stringono la mano; uno sconosciuto che regge il canzoniere mentre i bimbi di una famiglia avventurosa cantano insieme agli altri ospiti; la gioia di condividere un’alba insieme a una coppia di giovani innamorati che, dopo pochi minuti, saluta e illuminata dai primi raggi di sole scende a valle. Al Rifugio degli angeli si incontrano vite e si scambiano parole di gentilezza, resettando così il peso della vita quotidiana per la durata di un paio di giorni. A renderlo possibile sono la montagna, con la sua pace che ispira dolcezza, ma anche questi volontari, che ancora credono abbia senso donarsi e donare il proprio tempo al servizio di qualcuno. Sia che si tratti di chi cammina lungo i sentieri di montagna, sia che si tratti di chi vive lontano, in povertà.

E recita infatti così un ringraziamento da sempre affisso alle mura del rifugio: «Grazie montagna per avermi dato lezioni di vita, perché faticando ho imparato a gustare il riposo, perché sudando ho imparato ad apprezzare un sorso d’acqua fresca, perché stanco mi sono fermato e ho potuto ammirare la meraviglia di un fiore, la libertà di un volo di uccelli, respirare il profumo della semplicità».

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