Frontiera / Como città
Giovedì 29 Settembre 2022
«Gas, le aziende del Ticino ora dipendono dall’Italia»: parola del deputato ticinese
Intervista Nel Cantone non esistono luoghi di stoccaggio e le imprese svizzere utilizzano i siti che si trovano sul confine. L’allarme del deputato Marco Romano: «Difficile trovare soluzioni, perché i nostri vicini sono senza guida politica»
E così si è scoperto che il Canton Ticino è totalmente dipendente dalla vicina Italia sul tema sensibile delle forniture di gas o meglio il Ticino dovrà dipendere al 100% in caso di necessità impellente “dalla solidarietà italiana”.
La prima conferma in tal senso è giunta dal deputato ticinese in quota Ppd - che siede in Consiglio nazionale, la Camera “bassa” del Parlamento svizzero - Marco Romano, che ha inoltrato un quesito ad hoc al Governo, ricevendo una risposta dal Dipartimento federale dell’Ambiente che lui stesso ha definito “disarmante”.
E così nel bel mezzo di un nuovo tsunami - quello connesso all’impennata dei costi energetici - il Ticino si scopre dipendente dall’Italia per l’approvvigionamento di gas. Come giudica questa situazione?
«Nel mio post ho utilizzato l’aggettivo disarmante. Il Ticino è al 100% dipendente dall’Italia su un tema prioritario come quello del gas, che non passa - per forza di cose - sopra o sotto le Alpi. Per questo viviamo una situazione diametralmente opposta rispetto al resto della Svizzera. La condotta principale che porta il gas in tutto il Ticino arriva dall’Italia ed ha il primo punto di contatto con il nostro Cantone a Stabio. In una situazione come fa, è legittimo essere preoccupati».
In Ticino non esistono luoghi di stoccaggio?
«No. Per diretta conseguenza, le aziende ticinesi hanno stoccato gas nella vicina Italia. Ora però pongo questo quesito, approfittando dell’opportunità offerta da un quotidiano italiano che segue la realtà di confine: “In caso il Governo italiano dovesse decidere di razionare per causa di forza maggiore le forniture, il gas continuerà a seguire la rotta che dall’Italia porta in Ticino o i rubinetti, per dirla in termini pratici, verranno chiusi?” E così al Governo ho chiesto se l’Italia ha la facoltà di “confiscare” il gas che le aziende ticinesi hanno stoccato oltreconfine. Domanda più che legittima, soprattutto di fronte a una crisi energetica di fatto già iniziata».
Qual è stata la risposta del Governo di Berna?
«Si è trattata di una risposta molto lineare. Il che significa in maniera molto schietta che le mie preoccupazioni sono pertinenti e reale. Qualche mese fa con l’Italia si è iniziato un percorso per arrivare alla definizione di un “accordo di solidarietà” tra i due Paesi, finalizzato ad evitare che il vostro Paese potesse bloccare le forniture verso la Svizzera. Poi però con la crisi di Governo e il ritorno alle urne in Italia questo percorso si è fermato. Ora aspettiamo il nuovo Governo italiano».
Si aspettava una situazione così ingarbugliata, visto che il tema dell’approvvigionamento energetico è di stretta attualità ormai da mesi?
«Il fatto che il Ticino fosse legato all’Italia era noto da tempo. Ciò che al momento resta sospeso in una sorta di limbo è il comportamento dell’Italia in caso di pesante crisi, con annesso razionamento delle forniture. Spero e mi auguro che questo “accordo di solidarietà” venga definito al più presto. Urgono garanzie per il Ticino, che anche questa volta rappresenta una realtà a sé rispetto al resto della Svizzera. E’ quasi superfluo rimarcarlo, ma in questo momento siamo totalmente dipendenti da questo “tubo” che entra in Ticino da Stabio».
Poteva fare di più il Governo di Berna?
«Si poteva negoziare prima questo accordo, per noi di fondamentale importanza. E’ chiaro che all’epoca le regole d’ingaggio erano diverse. Adesso ci troviamo di fronte ad una nuova emergenza, che non è più sanitaria, ma energetica. E nel momento del bisogno, l’Italia è rimasta senza guida politica. Diciamo che crisi italiana e crisi energetica hanno rappresentato una combinazione di eventi che in questo momento sta giocando a sfavore nostro».
Ci sono aziende che hanno già paventato lo spettro del lavoro ridotto (l’omologo della nostra cassa integrazione, ndr) per affrontare questa seconda situazione di emergenza nell’arco di tre anni. Essendo quelle ticinesi latitudini anche - o forse soprattutto - di lavoratori frontalieri, è un’ipotesi reale quella del lavoro ridotto?
«Ritengo quella del lavoro ridotto un’opportunità più che una necessità. Come Canton Ticino abbiamo già chiesto a Berna di autorizzare il lavoro ridotto a fronte di un’emergenza energetica con cui ci stiamo già di fatto confrontando. Una misura che durante i mesi bui della pandemia ha dato risultati importanti garantendo il posto di lavoro con l’80% del salario garantito. Ritengo il lavoro ridotto un argine importante con l’avanzata imperiosa della crisi energetica. Nel contempo, si sta pensando a rendere più elastica, in via transitoria, la legge sul lavoro, consentendo - ad esempio - di lavorare la domenica oppure una redistribuzione dei turni su base settimanale, allungandoli verso le ore notturne. Flessibilità è la parola d’ordine per questo momento che presenta - è inutile negarlo - criticità e incognite».
E sempre in tema di rincari, questa volta legati al costo del carburante, il Ticino da tempo reclama misure per contrastare la corsa al pieno verso l’Italia. Berna, sin qui, ha sempre respinto al mittente le richieste. Qual è il suo giudizio su questa vicenda che si trascina ormai da mesi?
«Lo dico senza troppi giri di parole. Comprendo appieno le motivazioni che spingono un cittadino ticinese a fare il pieno di carburante in Italia. Il vostro è uno dei territori maggiormente interessati da questo flusso continuo di veicoli. In Svizzera c’è pochissima trasparenza sulle tariffe e ci sono distorsioni nei prezzi, che variano di diversi centesimi pur a fronte del medesimo fornitore. Il prezzo del diesel, in particolare, oscilla tra i 2,25 ed i 2,30 franchi quando il prezzo del petrolio al barile è tornato ai costi di un anno fa. C’è veramente un problema che riguarda le tariffe dei combustibili sul nostro territorio. Capisco pertanto che l’Italia rappresenti, per il pieno di carburante, un richiamo irresistibile. Resta il fatto che Berna deve far pressione su “Mister Prezzi” - la nostra autorità di vigilanza - affinché vengano inquadrate al meglio le cause che stanno alla base di questa distorsione dei prezzi».
Si parlava poc’anzi della necessità di giungere al più presto ad “un accordo di solidarietà” per impedire che, in caso di grave necessità, il gas rimanga in Italia. C’è un altro accordo, quello fiscale, che la crisi politica italiana ha nuovamente congelato. Quanto è importante che il nostro Paese ratifichi al più presto questo accordo?
«Più che l’accordo fiscale, in questo momento la Svizzera ha bisogno che l’Italia ritrovi stabilità politica ed un Governo con cui dialogare. Non c’è solo l’accordo fiscale ad agitare i rapporti di confine. Siamo di fronte ad una nuova ondata migratoria che sta arrivando utilizzando Italia e Svizzera come Paesi di transito. Senza un interlocutore politico ben definito, tutto diventa più difficile. Ormai abbiamo rilevato un aspetto ben definito all’interno dei rapporti di confine con il vostro Paese».
Quale?
«E’ una sorta di equazione. Quando la politica italiana è bloccata, come in questi mesi - e aggiunge negli ultimi sette-otto anni è accaduto con una frequenza sempre maggiore -, il Ticino soffre e questo perché la Svizzera non ha una controparte con cui dialogo. Sul nuovo accordo relativo alla fiscalità dei frontalieri, anche per questo motivo mi sono messo in cuore in pace, come si suole dire. Non vedo come possa essere ratificato entro l’anno e per diretta conseguenza entrare in vigore nel 2023. Qualora le mie preoccupazioni si rivelassero, come temo, sensate, mi aspetto dal Governo svizzero una presa di posizione forte nei confronti dell’Italia, che ha preso un impegno politico, cui non ha ottemperato».
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