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Giovedì 31 Ottobre 2024
I giovani e la tentazione della «giustizia fai da te»
Intervista Ilario Lodi è responsabile per la Svizzera italiana delle attività della Fondazione Pro Juventute. La vicenda della gang di adolescenti che avrebbe rintracciato e “punito” i presunti pedofili online
Farsi giustizia da sé, organizzati in gang composte anche minorenni. Avviene anche in Svizzera, anche in Canton Ticino. È notizia di qualche giorno fa che sono stati messi otto inchiesta alcuni giovani (tra cui qualche giovanissimo) i quali, aggregatisi attorno a un’idea, hanno percorso la strada del “farsi giustizia da sé”. Animati dall’intenzione di dare una lezione a degli adescatori di minorenni, come riporta il sito della RSI, questi giovani sono finiti sotto inchiesta poiché sospettati di “dare la caccia” online a presunti pedofili.
Stando a quando si legge nella ricostruzione della RSI, la Magistratura ticinese sta conducendo un’inchiesta a carico del gruppo di 18 minorenni e un maggiorenne, capitanati da un capobanda, che si era organizzato per “dare la caccia” online a presunti pedofili che, una volta individuati e attratti attraverso la creazione di falsi profili, venivano “puniti” dal team di adolescenti del Luganese con pestaggi e ricatti. Ora tutti gli indagati sono a piede libero, ma con gravi imputazioni: sequestro di persona, lesioni gravi, estorsione, rapina, coazione e aggressione ai danni di adulti che, nella maggior parte dei casi, non sono cittadini svizzeri.
La Magistratura sta ora indagando sui giovani e sulle possibili responsabilità penali degli adulti adescati. Gli episodi sarebbero stati almeno una ventina e il caso non sarebbe isolato. Un precedente, anche se condotto con modalità diverse, porta, secondo RSI, sull’isola de La Réunion dove è nata nel 2019 - ed è attiva oggi con alcune decine di membri in Francia, Belgio e Svizzera – un’organizzazione di cittadini comuni, maggiorenni, incensurati che segnalano alla polizia persone sospettate di pedofilia; segnalazioni che hanno portato a condanne pesanti. Tutti questi sono casi di giustizia fai da te che fanno molto discutere.
Ad analizzare questo comportamento è Ilario Lodi, responsabile per la Svizzera italiana delle attività della Fondazione Pro Juventute Svizzera la quale, come dice il nome stesso, si occupa di promuovere attività educative per bambini e giovani.
Il fenomeno della violenza giovanile si presenta, negli ultimi anni, con una preoccupante regolarità. Come va interpretata questa drammatica evoluzione?
Direi che la questione non mi sorprende. I giovani, negli ultimi anni, si sono fatti protagonisti di più di un fenomeno che, qui, noi definiamo di “violenza giovanile”. Esso rappresenta uno spaccato della società in cui viviamo. Non si può pensare che i giovani vivano in un mondo isolato parallelo – anche se fanno delle nuove tecnologie il loro strumento di relazione principale. Essi riproducono quello che vedono e che vivono quotidianamente. Né più né meno. Anche se la stragrande maggioranza dei giovani è sana e vive una vita piena, questi fenomeni estremi rappresentano oggi un fattore non marginale dello sviluppo della nostra società. Bisogna prestare a questi fatti la massima attenzione.
Quali sono i bisogni che sottendono a queste azioni?
È difficile dare una risposta precisa. In generale questi giovani (ma questo vale per la popolazione giovanile e adulta in generale) hanno un grande bisogno di giustizia e di collettività. Le faccio un esempio: siamo tutti confrontati, quotidianamente, con il dilagare di un modo di pensare la vita in relazione con gli altri che passa dai codici e dai regolamenti; è come dire che la giustizia si è trasformata in legge ed è giusto (o legale) solo quello che viene codificato. Questo aspetto – che trascende in un certo senso l’ambito
delle politiche giovanili – produce degli effetti non positivi sulla vita delle persone poiché – a volte, almeno – esso rappresenta la traduzione nella vita reale di rapporti di forza (che non sempre sono rapporti di giustizia) il prezzo del quale viene pagato dai più fragili e dai più deboli. Per altro la nostra quotidianità ci confronta, costantemente, con fenomeni di isolamento. Mi verrebbe da dire che l’esasperata competitività a cui tutti, oggi, siamo soggetti, produce individui “soli”. Ne consegue un profondo bisogno di collettività, che i giovani ricercano – come hanno sempre fatto – nel gruppo. Il problema è che sembra che – in questo caso specifico almeno; ma saranno gli inquirenti a stabilirlo – questi giovani pare abbiano scelto la forma peggiore di fare gruppo, che è quella del branco.
Quali sono le misure che l’autorità dovrebbe adottare per arginare questi fenomeni?
Bisogna agire su più fronti. Per restare agli esempi citati le dico che non ha nessun senso chiedere ai giovani di rispettare la legge se questi non sanno che cos’è la giustizia (che non sempre collima con la legge…).
Agirei proponendo – magari nelle scuole o approfittando delle attività che già oggi vengono proposte ai giovani, quali quelle sportive o musicali – di prestare maggiore attenzione al concetto di cittadinanza: cosa significa divenire cittadini, oggi? Quali implicazioni comporta? E quindi: cos’è la giustizia? Come la si persegue? Come la si difende?
Poi, ovviamente, proporrei ai giovani di vivere molto di più di quanto si fa oggi – almeno nella Svizzera italiana – il concetto di “collettività”. Lo farei investendo maggiormente – ad esempio – nelle colonie estive di vacanza, nelle settimane bianche e verdi e chiederei anche alla scuola di occuparsi maggiormente (molto di più di quanto può fare oggi) di questo tema, poiché è attraverso queste pratiche che il giovane (ma anche il bambino) comprende ed esercita i principi fondamentali della vita democratica.
Tutto ciò, però, necessita il fatto che le politiche dell’infanzia e della gioventù assurgano a priorità nell’agenda politica dei nostri rappresentanti. Se ciò non avviene – e in tempi brevissimi – non saremo in grado di far fronte a questi fenomeni.
Il problema è quindi prevalentemente di ordine politico…
Sì e no. Oggi – e questa è ormai una certezza - ci troviamo di fronte ad una emergenza politica. Sempre più frequentemente mi chiedo, infatti, quali siano le sensibilità educative presenti nei vari consessi politici (locali, regionali e nazionali). Non mi sembra che negli stessi siano presenti persone con una spiccata competenza di ordine pedagogico (fatte alcune eccezioni, come ad esempio quella di Vanna Iori, già Senatrice della Repubblica, che ha prodotto un lavoro immenso nell’ambito delle politiche dell’infanzia e della gioventù, e a cui va tutta la mia stima). È certo che, se queste difettano, viene a mancare la visione a lungo termine su questi temi (e l’educazione necessita di tempi lunghi).
Avremmo quindi bisogno, sì, di maggiore sensibilità politica, ma anche di più persone competenti (cioè: più pedagogisti) che sappiano qual è la posta in gioco e quali siano i mezzi per poterla ottenere. Il mio appello va quindi anche ai partiti, i quali hanno la responsabilità non solo di rintracciare sul territorio queste figure, ma anche di offrire loro lo spazio necessario per poter lavorare. Questo è il mio auspicio.
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