«Il referendum è democrazia, ma i rischi non mancano»

L’intervista Toni Ricciardi, docente universitario e deputato italiano, analizza lo strumento tanto caro agli svizzeri: «Nell’epoca del web e dei social, spesso si vota senza avere una conoscenza del quesito. Pensate alla Brexit»

Il mese prossimo e poi ancora più avanti, in Svizzera i referendum chiameranno i confederati ad esprimersi attraverso il voto. I quesiti sul tavolo sono: potenziamento delle strade nazionali; diritto di locazione: sublocazione; diritto di locazione: disdetta per bisogno personale; finanziamento delle prestazioni sanitarie per stabilire i tassi a cui i cantoni possono finanziare l’assistenza sanitari; limitazione dei fuochi d’artificio che però il Consiglio Federale ha raccomandato di respingere ricordando che Cantoni e Comuni hanno già modo di limitarne l’uso. Il referendum è uno dei pilastri istituzionali della Svizzera e anche quello che interroga i cittadini sul comportamento delle istituzioni ed è uno strumento antico che nasce nella Confederazione nel 1848, rappresentando un solido pilastro su cui poggia il sistema istituzionale svizzero.

Toni Ricciardi, storico delle migrazioni all’Università di Ginevra, deputato italiano per il PD-IDP nella circoscrizione Estero A (Europa) vice-presidente del gruppo PD-IDP, analizza il significato di questo strumento e la sua importanza nella vita degli svizzeri, invitando a riflettere sul suo utilizzo condizionato da diversi fattori, non ultimo internet e i social.

Professore, gli svizzeri sono spesso chiamati ad esprimersi attraverso il referendum, cosa rappresenta questo istituto tanto diverso per importanza da quello italiano e come mantiene la propria attualità?

Il referendum è un istituto che in Svizzera nasce quando si vuole dare voce al mondo extra parlamentare non rappresentato da un quadro politico, ma nel corso del tempo ha subito una forte metamorfosi ed essendo la Svizzera una Confederazione a Costituzione flessibile, essa può essere modificata proprio con il referendum, cosa che non avviene in Italia. I referendum sono il momento topico della polarizzazione, soprattutto tenendo conto che in Svizzera esiste una ripartizione proporzionale delle forze politiche, non c’è la maggioranza contro l’opposizione e questo spiega e giustifica lo strumento referendario. Il suo dunque è un peso molto grande nella vita della Svizzera.

Il referendum continua a mantenere la propria indiscussa utilità?

La questione è sottile e importante. Oggi, per esempio, si discute se sia utile oppure no sottoporre al referendum questioni dirimenti come quella migratoria, tema molto spinoso e che può condizionare in modo determinante la vita della Svizzera. Penso al referendum del 9 febbraio 2014 che proponeva di porre tetti massimi all’immigrazione e nel quale 18mila voti furono decisivi, e soprattutto decisivo fu il voto del Canton Ticino, per la rinegoziazione degli accordi bilaterali (con il 50,3% di voti favorevoli la Svizzera introdusse quote annuali per l’immigrazione ridiscutendo gli accordi di libera circolazione in Europa, ndr). Quella volta in Ticino il voto fu condizionato dalla questione dei frontalieri che emotivamente aveva un peso importante nel Cantone. Per non parlare dell’abolizione della libera circolazione, gli accordi di Schengen (il 27 settembre 2020 venne bocciata con il 62% la proposta di abolire gli accordi e quindi si è conservata la libera circolazione tra Svizzera e UE e di conseguenza anche dei frontalieri, ndr).

Quindi lei dice che il risultato del referendum può essere condizionato da sensazioni legate al momento storico?

Dico che il referendum, nato per

dare voce a chi era fuori dalle istituzioni, con il tempo è diventato uno strumento che rischia di essere piegato al sentiment del momento. La questione del momento e del condizionamento emotivo conta. La vera domanda da porsi è: fino a quando il sistema sarà in grado di reggere? Un quesito che pongo perché anche in Svizzera aumenta la diseguaglianza sociale e questo crea difficoltà strutturali, bisogna stare attenti. Faccio un esempio, qualche anno fa in Svizzera è stata respinta con il referendum la proposta di abbassare il canone tv che non è i pochi euro dell’Italia, ma centinaia di franchi, i cittadini l’hanno respinta dicendo che la tv doveva restare pubblica. Un comportamento che in Italia è impensabile. Detto questo, i sistemi politici istituzionali non sono mai comparabili tra Stato e Stato perché poggiano su consuetudini e altre peculiarità sociali.

Considerato tutto ciò, dovesse indicare pregi e difetti del referendum in Svizzera?

Un pregio è sicuramente quello di chiedere l’opinione dei cittadini e di obbligare i partiti ad assumere posizioni chiare, i partiti devono confrontarsi sui temi in occasione del referendum; il difetto è più che altro un rischio, quello di sottoporre un quesito in un momento in cui l’argomento è molto sentito e il risultato può, di conseguenza, non essere scontato. Oggi però la Svizzera non può fare a meno del referendum che è uno strumento a cui i cittadini rispondono anche perché si può votare comodamente da casa, ricordiamoci che ai seggi fisici si reca solo l’1 o il 2%.

Il referendum è dunque uno strumento da maneggiare con cura?

Sì, e il risultato della Brexit nel Regno Unito ce l’ha dimostrato. Siamo andati a letto pensando che restasse in Europa e ci siamo svegliati con il Regno Unito fuori. Il referendum va utilizzato con attenzione anche perché oggi la comunicazione è sempre più individualista e dualizzata.

Intende dire che è condizionata dalla rete?

Sì e anche dai social, ma non solo. Se infatti porti le persone al voto con il filtro dei corpi intermedi, vale a dire dei partiti o dei sindacati, solo per fare un esempio, indipendentemente dall’orientamento politico, chi vota può contare su una analisi del quesito di più ampio respiro, oggi invece il cittadino la propria opinione se la forma da solo, su internet e sui social e se non è una persona con un forte discernimento della fonte può votare senza essersi fatto un’idea approfondita del quesito. Il cittadino medio non ha più un filtro, che prima era rappresentato da un partito o da un sindacato, e questo rischia di creare un cortocircuito. Detto questo, la Svizzera non abolirà mai il referendum, ma su di esso un ragionamento va fatto.

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