La circolazione degli stranieri è «una risorsa per la Svizzera»

L’intervista Il professor Martinoni sulla situazione occupazionale e gli arrivi nel Paese: «Il sistema è stabile, l’integrazione funziona. Ma ci vuole misura»

La libera circolazione volano per i lavoratori stranieri forza importante per la Confederazione e, in alcuni casi, nuovi cittadini elvetici.

La situazione occupazionale è stata oggetto di un importante documento pubblicato il 24 giugno scorso dalla Segreteria di Stato dell’economia SECO della Confederazione. Si è trattato del “20mo Rapporto dell’Osservatorio sulla libera circolazione delle persone tra la Svizzera e l’UE - Ripercussioni della libera circolazione delle persone sul mercato del lavoro e sulle prestazioni sociali della Confederazione”. Il professor Renato Martinoni dell’università di San Gallo ne fa una analisi di tipo sociologico per “Frontiera”.

Professore, nel rapporto si legge che nel 2023, il saldo migratorio rispetto allo spazio UE/AELS è pari a circa 68.000 persone (+29 % rispetto al 2022). Di queste 10.500 vengono dall’Italia. Lei che si è occupato nei suoi studi anche degli italiani in Svizzera, come legge questi dati?

Il rapporto dell’Osservatorio sulla libera circolazione delle persone tra la Svizzera e l’UE/AELS conferma la stabilità del sistema economico elvetico, e quindi spiega la capacità di attrarre da parte di un Paese dove le cose in genere funzionano, in virtù di una società che ha imparato a valorizzare l’apporto di altre mentalità e di altre culture. A tutto questo ha certo contribuito quell’etica del lavoro che viene dal mondo protestante e che Max Weber ha così bene descritto nei suoi studi socioeconomici. Che poi il saldo migratorio risulti positivo in virtù dell’arrivo in primo luogo di tedeschi, francesi e italiani, cioè di persone che vengono da paesi europei confinanti, a loro volta molto sviluppati, è legato probabilmente ad alcuni fattori: la vicinanza geografica, le affinità culturali, il bisogno di manodopera qualificata, ma non solo (pensiamo ai settori alberghieri, edili, industriali), l’attrattività dei salari e della qualità della vita.

Anche le lingue giocano un ruolo?

Il plurilinguismo elvetico, e una particolare sensibilità nei suoi confronti, cioè il saper pensare e agire in altre lingue, favorisce un’integrazione più rapida. Il 55% degli immigrati dell’UE residenti in Svizzera sono italiani (23%), tedeschi (21%) e francesi (11%), persone cioè che parlano una delle lingue nazionali. Oggi poi l’italianità, intesa come modo di vita, è vista come un fattore molto positivo e gli svizzeri, soprattutto quelli di lingua tedesca, si sentono volentieri un po’ italiani. Non a caso nell’area germanofona elvetica gli italiani sono gli stranieri più amati. Sono dati culturali e antropologici che dovrebbero insegnare a guardare la Confederazione, non più con gli occhiali degli anni Sessanta e Settanta (in Italia c’è ancora chi confonde la Svizzera di oggi con quella di mezzo secolo fa, al tempo delle iniziative contro l’immigrazione di James Schwarzenbach), ma con quelli del terzo Millennio. In questi ultimi decenni le cose sono cambiate molto.

L’immigrazione ha accelerato la crescita della popolazione. A fine dicembre 2023, la popolazione residente permanente della Svizzera è cresciuta di circa l’1,6%. Nel 2023, gli stranieri residenti erano il 27% della popolazione. Questo cosa comporta nella convivenza tra persone di diversa provenienza in Svizzera?

La Svizzera è uno dei Paesi dove l’immigrazione è più alta, ma dove l’integrazione in genere funziona, senza creare sacche di malcontento. Questi fattori devono farci pensare in maniera positiva, fermo restando che tanto la società quanto la scuola hanno un compito non semplice da svolgere. La crescita della popolazione invece inquieta la politica più a destra (Unione democratica di Centro, Lega dei Ticinesi). Certo, è necessario tenere il fenomeno sotto controllo, altrimenti si fa in fretta a perdere la bussola. Non possiamo dimenticare effetti preoccupanti, come il dumping salariale, il traffico che aumenta, gli affitti che crescono. Dobbiamo tuttavia stare attenti a non enfatizzare la realtà, come invece fanno i populisti, senza però sottovalutare l’evoluzione dei fenomeni migratori che va comunque monitorata. Come sempre la giusta strada sta nella via del compromesso, della misura, della fermezza e del dialogo fra le parti.

Alla fine del 2023 i frontalieri stranieri attivi in Svizzera erano 392.800, di cui 78.700 in Ticino, moltissimi. Crescono anche i frontalieri universitari e gli stranieri che scelgono la Svizzera per studiare e magari restarci?

La presenza di studenti universitari che arrivano dall’estero (gli italiani sono l’8% di tutti i loro emigranti) è vista a volte come un fattore di prestigio. Più siamo “internazionali” e più siamo bravi, accademicamente, autorevoli, attrattivi, sostengono alcuni. Ci andrei piano con questo tipo di discorso. Intanto, cosa vuol dire “internazionali”? Non è il numero dei Paesi esteri da cui arrivano gli studenti che fa la differenza, ma la loro qualità e il loro grado di preparazione, le loro motivazioni e la disponibilità a continuare il discorso scientifico con chi la sta formando. Se uno arriva perché è un figlio di papà o perché non ce l’ha fatta nel proprio Paese, distratto magari da troppi passatempi, non è un grande guadagno. E se uno studia a Zurigo e poi se ne va, non è vantaggioso per chi ha investito per educarlo scientificamente. Il percorso universitario è molto costoso per lo Stato, specie in alcune discipline. Non a caso i Politecnici federali di Zurigo e di Losanna stanno pensando di alzare le quote di iscrizione per chi viene dall’estero. Mi pare normale e giusto, anche perché le nostre Accademie, essendo la Svizzera un paese extracomunitario, si trovano non di rado a dover rinunciare a collaborazioni scientifiche con gli atenei dell’EU e devono fare molto da sole. L’Università di San Gallo ha un limite preciso, il 25% del totale degli iscritti, per le presenze straniere (la maggior parte viene dalla Germania). Mi sembra una cifra davvero generosa, anche tenendo conto del fatto che una studentessa di cittadinanza italiana la cui famiglia vive e lavora a Zurigo viene considerata come “svizzera”, e pertanto non rientra in questo quarto. Che poi un italiano di Como studi a Berna e vi rimanga per lavorare, a me non sembra un sacrilegio, né per lui, né per l’Italia.

I dati del Rapporto dicono che in Svizzera gli stranieri mostrano un elevato rischio di disoccupazione. Nel 2023 il relativo tasso di disoccupazione (2,9 %) era superiore di un punto percentuale alla media nazionale. I cittadini dell’Europa meridionale sono i più a rischio. Nella storia è una situazione che si ripete.

Questo è dovuto al fatto che certi posti “fragili” vengono occupati da stranieri. Ma il Rapporto ci dice anche che a una robusta immigrazione è seguita una crescita occupazionale del 2%, una cifra identica al 2% di quella relativa alla disoccupazione. Insomma, l’aumento dell’immigrazione lavorativa non equivale a un aumento della disoccupazione o a una diminuzione della crescita. C’è un altro dato da segnalare: nella Svizzera di oggi è maggiore il numero delle persone che compiono i 65 anni rispetto a quello di chi di anni ne ha 20. Vero è che l’immigrazione pesa sul piano delle spese per la disoccupazione; ma per le assicurazioni sociali, come quelle che sostengono gli anziani e i pensionati, il lavoro di questi immigrati resta prezioso. Insomma, una lettura seria e spassionata del Rapporto pubblicato dall’Osservatorio sulla libera circolazione delle persone tra la Svizzera e l’UE/AELS serve a gettare un po’ di acqua sulle braci alimentate dalla politica populista che a volte, invece che a costruire, pare impegnata a rastrellare voti, basando il proprio programma più sulle emozioni che sulla realtà.

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