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Giovedì 13 Ottobre 2022
Parità di genere: da settembre in Svizzera le donne vanno in pensione un anno dopo. Difficoltà nel conciliare lavoro e famiglia
L’intervista Il referendum che ha innalzato di un anno l’età per poter andare in pensione ha aperto il dibattito in Svizzera. L’analisi di Rachele Santoro, delegata alle pari opportunità.
Parità donna-uomo. Anche in Svizzera c’è ancora un grande lavoro da fare per raggiungerla: in termini culturali, ma anche concreti, soprattutto nell’ambito della conciliazione lavoro-famiglia. Inoltre, in Svizzera è in atto una riflessione sull’esito del referendum del 25 settembre scorso che ha stabilito la pensione alle donne a 65 anni, dal 2024, e non più a 64 com’era finora.
La Svizzera ha scelto infatti di far lavorare un anno in più le donne creando non poche polemiche tra chi, in Ticino il 57%, a settembre ha detto “no” alla riforma dell’AVS (Assistenza vecchiaia e superstiti). Detto questo, la questione della parità di genere è ampia e Rachele Santoro, Delegata per le pari opportunità del Cantone Ticino, ci sta lavorando molto.
Dottoressa Santoro, si parla tanto di parità donna-uomo, ma nei fatti non la si è ancora raggiunta. In Ticino quali sono le priorità da conquistare?
L’argomento è molto articolato, ma si può dire che per il Ticino e la Svizzera il tema prioritario è la conciliazione lavoro-famiglia. E’ indubbio che essa, quando non c’è, sia un ostacolo all’equa divisione di compiti di cura, domestici, di famiglia da un lato e di lavoro dall’altro.
Lavoro e famiglia, se ne dibatte anche dopo l’esito del referendum del 25 settembre. Secondo lei, un anno in più di lavoro per le donne le penalizza ulteriormente rispetto agli uomini?
Il referendum ha messo in luce la disparità salariale tra donne e uomini che non si vede solamente durante la vita attiva, ma anche al momento del pensionamento. I dati ci dicono che per gran parte delle donne che vanno in pensione il primo pilastro rappresenta la principale fonte di reddito. Il sistema pensionistico svizzero ha infatti tre “pilastri”: il primo è uguale per tutti ed è l’AVS; il secondo è legato a quanto si contribuisce durante la vita attiva e quindi allo stipendio che si percepisce; il terzo è dato dalla previdenza privata che ognuno fa, in base alle proprie possibilità e che le donne faticano a attivare se non lavorano, perché hanno meno capitale da investire. Il primo pilastro per molte donne che smettono di lavorare è dunque la parte più importante della pensione, mentre per gli uomini essa è data dal primo, più il secondo e spesso il terzo pilastro. In Svizzera le donne percepiscono mediamente delle pensioni del 37% inferiori rispetto agli uomini. Chi è contrario all’innalzamento dell’età pensionabile, e sono molti, si poggia sull’idea di base per la quale non si vuole che, ancora una volta, siano le donne ad essere discriminate e a coprire i costi legati al finanziamento delle prestazioni per la vecchiaia; ma bisogna anche essere coscienti che se le donne vanno in pensione a 64 anni, ovvero un anno prima degli uomini, hanno un tasso di conversione inferiore e dunque una pensione più bassa. Infatti, già oggi molte donne lavorano fino a 65 anni per evitare di avere una pensione più bassa.
Una disparità che però resiste anche in ambito salariale e lavorativo, giusto?
Sì, spesso le donne sono inserite in settori dove i salari sono inferiori. I dati statistici indicano una disparità salariale tra donne e uomini del 19% (UST, 2018, ndr). È evidente che tali disparità si accentuano nel momento in cui una coppia decide di avere figli: le difficoltà a conciliare impegni familiari e impegni professionali fanno sì che nella maggior parte dei casi le mamme rinunciano totalmente o parzialmente all’attività retribuita, ciò ha delle ripercussioni sul salario e sulla pensione. Le donne sono inoltre maggiormente inserite in settori socio-sanitari o dell’insegnamento dove le condizioni lavorative possono agevolare la conciliabilità familiare: lì hanno maggiori possibilità di lavorare a tempo parziale, per esempio.
Generalmente invece, gli uomini intraprendono una scelta formativa e professionale nei settori tecnici e ingegneristici dove gli stipendi sono più elevati. Infine, le donne faticano a superare il cosiddetto “soffitto di cristallo” e raggiungere i vertici e, ancora una volta, a causa delle difficoltà di conciliabilità lavoro-famiglia che resta uno dei punti cruciali per il raggiungimento della parità donna-uomo.
Che cosa ostacola il superamento di questo scoglio?
Molto fa la mentalità, la cultura. Nelle coppie che adesso hanno tra i 40 e i 60 anni la divisione dei ruoli è più tradizionale, resta ancora salda la convinzione che le donne debbano occuparsi della famiglia e della casa, mentre gli uomini devono pensare al lavoro retribuito, ma le giovani coppie spesso mostrano invece il desiderio di avere una suddivisione più equa del lavoro. Tra i giovani ad esempio, vi è una parte molto più elevata di uomini che lavora a tempo parziale per conciliare lavoro e famiglia, ma qui si arriva ad un altro problema: quello dei datori di lavoro.
Nel senso che anche il mondo del lavoro non comprende ancora la necessità di conciliare lavoro-famiglia?
Spesso è così. Nel settore della meccanica, nel settore primario e in altri ambiti come quello dei lavori stradali e nelle piccole imprese, molti lavoratori sono uomini e la cultura del lavoro a tempo parziale non è molto diffusa, mentre il lavoro a tempo parziale è più diffuso nei contesti accademici. A incoraggiarci però c’è il fatto che nei giovani ci sia il desiderio del lavoro a tempo parziale per suddividersi più equamente la gestione della casa e della famiglia. Poi ci vorrebbero i congedi parentali.
In Svizzera non ci sono?
Sì, ci sono, ma non bastano. In Svizzera sono concesse 14 settimane di congedo di maternità e 2 settimane di congedo di paternità. Il congedo per i papà è una novità perché è entrato in vigore solo a gennaio 2021 e sul quale si è fatto un primo bilancio che dice che il 70% degli uomini ne ha usufruito e il 30% no. Ma non si sa se chi non ne ha usufruito non l’abbia fatto per convinzione o perché il datore di lavoro lo ha disincentivato. La Svizzera non conosce tuttavia ancora dei congedi parentali dove i genitori possono suddividersi il periodo seguente alla nascita di un figlio in maniera libera.
Lei ha accennato a una difficoltà ancora molto “culturale”, gli stereotipi di genere, quindi, sopravvivono?
Certo. Sopravvivono eccome. Vediamo che anche nell’età prescolastica i bambini sono fortemente influenzati dagli stereotipi di genere, basti pensare ai giochi (bambole per le ragazze e macchinine per i ragazzi) oppure ai colori (rosa per le femmine e blu per i maschi). Su questo si lavora per diffondere, anche coi docenti, una cultura che si basi su meno stereotipi di genere.
Come lavora la Svizzera per ridurre gli stereotipi di genere?
Con molte iniziative tra cui la “Giornata Nuovo Futuro” (il 10 novembre prossimo, ndr) volta a scardinare gli stereotipi nella scelta formativa e professionale. Si tratta di una giornata nazionale dove i maschi fanno, per un giorno, lavori tradizionalmente considerati femminili e le femmine lavori tipicamente maschili. In questo modo è possibile far capire che la scelta del lavoro e del proprio futuro non deve essere dettata da stereotipi, ma il frutto di una passione o di un interesse. Spesso gli stereotipi sono interiorizzati e vi è poca consapevolezza nel riconoscerli. L’eliminazione degli stereotipi è un discorso che tocca tutta la società e tutti i settori, a partire dall’insegnamento, dalle istituzioni e dalle famiglie.
Parliamo di salute. Le donne sono penalizzate per cure sanitarie e prevenzione?
In Svizzera le donne hanno una speranza di vita più elevata degli uomini e meno problemi di salute come sovrappeso, fumo, alcool ecc. Ma se la speranza di vita alla pensione è più elevata, è anche vero che c’è il settore della medicina di genere mostra che ci sono differenze nell’analisi dei sintomi delle malattie, ma anche delle cure. Spesso infatti si fanno test su soggetti maschili il che significa calibrare le risposte e le cure su di essi. Lo stesso avviene per la sintomatologia. Nell’infarto, ad esempio, i sintomi delle donne sono meno studiati e capiti perché ci si basa su quelli dell’uomo (le donne possono avvertire affanno o disturbi gastrici invece del classico dolore al braccio sinistro, presente più negli uomini). Queste di cui abbiamo parlato sono solo alcune delle disparità tra sessi, c’è poi il capitolo ampio della violenza domestica e della sottorappresentanza in politica che sono questioni urgentissime (secondo i dati raccolti ne “Le cifre della parità – Ticino” la quota di uomini nelle istituzioni politiche è pari all’81,7%. Le donne settimanalmente dedicano in media 18 ore in più degli uomini ai lavori domestici, il 41% delle donne con figli in età prescolastica non lavora, ndr).
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