Solitudine, un nemico sempre più difficile da sconfiggere: «Si fa presto a dire amicizia, in realtà siamo più soli»

L’analisi Un sondaggio condotto in Svizzera certifica come sia difficile stabilire rapporti consolidati nella società moderna. L’analisi del direttore della fondazione Pro Juventute: «Cresciamo inseguendo il mantra della competitività»

Quattro amici veri che salgono a otto se si considerano quelli un po’ meno stretti, una certa difficoltà a fare amicizia, più per i giovani che per gli adulti e gli anziani, mancanza di tempo per coltivare i rapporti amicali che, però, una volta stretti diventano spesso sinceri e duraturi.

E’ questo in sintesi il risultato di un sondaggio eseguito su tremila persone e pubblicato nei giorni scorsi dall’Istituto Gottlieb Duttweiler, per conto del “percento culturale di Migros” (il “percento” è nato dall’idea del fondatore di Migros, Gottlieb Duttweiler, e prevede contributi a iniziative culturali e sociali, nda).

Il sondaggio sull’amicizia è la prima grande indagine del genere fatta in Svizzera e mostra l’amicizia come uno degli aspetti sociali irrinunciabili per migliorare la qualità della vita.

Ilario Lodi, direttore di Pro Juventute, la fondazione svizzera che dal 1912 sostiene bambini e ragazzi in tutta la Svizzera, analizza gli esiti di questo studio invitando a recuperare il tempo dell’amicizia oggi sacrificato a quello veloce dell’economia.

Professore, in media gli svizzeri dicono di avere quattro amici intimi e otto della cerchia allargata; sono soddisfatti, ma dicono anche che è difficile fare amicizia. Secondo lei questi numeri e questa difficoltà sono “normali”?

A mio parere è certamente, oggi, più difficile trovare degli amici, se con ciò intendiamo una sorta di pratica “attiva e partecipata”. Cercare e trovare degli amici significa adoperarsi non solo per stabilire delle relazioni, ma anche frequentarle, viverle “in carne e sangue”, direi quasi “quotidianizzarle”. Questo richiede tempo e impegno; ci vuole pazienza per sviluppare una relazione di conoscenza che, piano piano, si trasforma in questo modo in amicizia. Oggi direi che siamo più orientati all’io, che al noi, e questo tempo lo viviamo quasi esclusivamente per il nostro sé, invece che per la collettività. Il “noi”, per parafrasare Jean-Paul Sartre, è molto spesso considerato fastidioso: costa tempo ed energie…

I dati dicono che i ticinesi sono sotto la media per amici, avendone 3,3, e i giovani immigrati dicono che è difficile fare amicizia perché serietà e affidabilità in Ticino vengono prima delle relazioni amicali. Qual è il motivo?

In generale, e il ticinese non fa eccezione, oggi viviamo l’estraneo (sia esso persona o cosa) come un elemento che si pone al di là di una sorta di frontiera che non desideriamo attraversare. È come se fossimo timorosi o, peggio ancora, impauriti dall’altro. Ciò mi indica che oggi, certamente più di ieri, siamo vittima, o rischiamo di esserlo, di una sorta di fragilizzazione; siamo in un certo senso divenuti meno capaci di governare le incertezze e per questo tendiamo a muoverci su terreni sicuri, dando poco credito a ciò che è “altro-da-noi”. Ma questo non è un problema nuovo: è il nostro modo di pensare che si è trasformato ed è divenuto “pensiero calcolante”. Ma le amicizie, non si calcolano: si vivono…

Si può, e come, combattere questa fragilizzazione?

Lavorando con i bambini e i ragazzi e riportando al centro dei loro interessi attività legate al riconoscersi come soggetto che sa fare delle cose e non che deve fare delle cose. Questo vuol dire interrogarsi sul fatto che l’economia ha colonizzato l’educazione. Noi parliamo dell’educazione dicendo che abbiamo bisogno di un tot di ingegneri, informatici o altri dando priorità alla necessità di avere forza lavoro prima che cittadini e questo fragilizza, perché dà meno importanza a me e più a quello che so fare. Questo vale anche per gli adulti, ma a maggior ragione per i giovani.

I giovani, secondo lo studio, si sentono più soli degli anziani. Non è strano? Perché oggi accade sempre di più?

No, non è strano. La solitudine è oggi una condizione esistenziale che si manifesta sempre più frequentemente, soprattutto tra i giovani che non possiedono ancora, come gli adulti, uno spettro ampio di relazioni significative. Non imputo tutto ciò alla recente crisi sanitaria, o agli eventi bellici, o ai problemi ambientali; tutto ciò ha a mio parere solo esacerbato una situazione esistente, ma latente. A mio avviso la solitudine che i giovani vivono è da imputare, almeno in parte (in buona parte) agli effetti della globalizzazione e della digitalizzazione che hanno spinto tutti noi ad abbracciare il mantra della individualità e della esasperata competitività in luogo del paradigma della collettività…

Usciremo da questo labirinto?

Ce la faremo, ma non credo a breve termine perché è il sistema stesso che funziona così. Oggi un genitore si sente dire: “se tuo figlio non sa l’inglese è fuori gioco, così pure se non sa programmare linee di codice” e a un genitore viene subito da dire “gli faccio imparare l’inglese e a programmare linee di codice”. Per uscire bisognerebbe invece privilegiare altri sistemi di riferimento non legati alla riuscita sociale come la vediamo noi oggi: denaro, bellezza e potere. Denaro sì, ma quel che basta, bellezza sì, ma che non deve far soffrire, potere sì, ma quanto basta per vivere con gli altri. Purtroppo oggi le famiglie sono state deprivate del loro diritto di educare perché si dice a loro cosa devono fare e: “se non lo fai è a tuo rischio e pericolo”. È il sistema che mette in crisi molti ragazzi perché chiediamo a loro qualcosa che non possono fare. Pensiamo ai tempi dell’educazione che sono lunghi e a quelli brevi dell’economia, ecco, stiamo cercando di educare i ragazzi con i tempi dell’economia e questo fa sì che molti ragazzi abbiano già un biglietto pagato per la psichiatria, anche se sto generalizzando perché tanti ragazzi vivono benissimo, ma il trend è un altro.

L’indagine definisce l’umorismo decisivo per le amicizie, sappiamo ancora essere leggeri senza essere sciocchi?

Io credo di sì, anche se a volte, forse oggi più di ieri, il nostro umorismo è un po’ più legato al sarcasmo…

Ma essere sarcastici a volte non vuol dire nascondersi, non farsi conoscere?

E’ così. La battuta sarcastica mi permette di nascondermi per non essere giudicato; invece, se si fa sarcasmo su di me si esercita su di me un potere: non entro in relazione con te, ma ti dimostro la mia forza. E questo è amplificato da mega trend come la moda, la ricchezza e la bellezza.

Lo studio consiglia minori aspettative e minori obblighi per trovare amici, ma così non si toglie valore all’amicizia? La società oggi vuole questo?

La sua osservazione coglie nel segno: oggi più di ieri siamo orientati alla superficialità. Abbiamo, in generale, messo da parte i grandi temi esistenziali, come quello del bene, del bello, del giusto, e, quasi presi dalla fretta, tendiamo a fermarci alle prime impressioni. Credo che se superassimo il paradigma del “prima si fa, più in fretta si fa, meglio è” scopriremmo, o riscopriremmo, il piacere che scaturisce dal coltivare una relazione la quale cresce, lo sappiamo, solo se è adeguatamente alimentata. E poi, interroghiamoci ancora sul significato che diamo alla parola “amico”. Credo che non sarebbe facile trovare un’intesa…

Ma allora, cosa significa amico?

Un esempio. Ai tempi della “Milano da bere” erano tutti amici, la parola amici era usata in modo stucchevole e questo ha fatto scuola; si diventava amici per vivere una collettività artificiale legata più all’esibizione di me piuttosto che di relazione. Oggi si parla di amicizia sui social media, in tv, ma dando valore a una relazione funzionale. Amicizia è invece un rapporto totalmente rivolto all’altro e disinteressato, senza bisogno di trarci fuori qualcosa, ma vissuto per l’altro e, di conseguenza, per far diventare me persona migliore.

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