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Giovedì 31 Agosto 2023
Lo stipendio degli italiani: quasi quattromila euro in meno dei colleghi europei
L’analisi Il rapporto dell’Ocse: l’aumento dei salari al 3,7%, l’inflazione al 6,4%. Il segretario Mathias Corman: «Il costo della vita ha eroso i redditi reali»
I salari in Italia scendono, e peggio di altri Paesi che rientrano come il nostro tra le grandi economie avanzate del mondo.
L’analisi è stata firmata dall’organismo internazionale Ocse, che ha pubblicato recentemente l’ultimo rapporto sulle Prospettive dell’Occupazione 2023. C’è anche una buona notizia, in questa indagine, la disoccupazione arrivata a livelli mai così bassi dai primi anni Settanta. Dopo la tempesta della pandemia, l’esito è quello documentato dalle cifre.
«I mercati del lavoro hanno dato prova di una notevole resilienza nell’ultimo anno e restano tonici, malgrado l’elevata inflazione e l’aumento del costo della vita abbiano eroso i redditi reali» ha detto il segretario generale dell’Ocse, Mathias Corman. Infatti il numero di disoccupati è calato al 7,6%, sotto di due punti percentuali rispetto ai livelli prima del Covid-19, ma sempre e nettamente sopra la media Ocse del 4,8%.
L’allarme
C’è però l’elemento dei salari reali a mettere in allarme.
L’Italia ha visto un andamento preoccupante: alla fine del 2022 erano calati del 7% rispetto al periodo precedente la pandemia. Nel primo trimestre del 2023, diminuzione pervenuta su base annua del 7,5%. Il futuro dovrebbe portare schiarite, ma non senza ulteriori nubi. Le proiezioni dell’Ocse indicano che in Italia i salari nominali cresceranno del 3,7% nel 2023 e del 3,5% nel 2024, mentre l’inflazione dovrebbe raggiungere il 6,4% nel 2023 e il 3% l’anno successivo.
Sull’Italia pesa tuttavia un avvertimento a proposito dei ritardi dei contratti collettivi, definiti significativi dall’Ocse. Difatti, oltre il 50% dei lavoratori italiani è coperto da un contratto scaduto da oltre due anni e l’impatto sulla capacità d’acquisto potrebbe farsi notare. Alla fine di giugno – ricorda anche l’Istat -, i 42 contratti collettivi nazionali in vigore per la parte economica riguardano il 46,1% dei dipendenti, circa 5,7 milioni, e corrispondono al 45,2% del monte retributivo totale.
Retribuzione
D’altro canto, proprio nell’ultimo rapporto Istat emerge come i lavoratori italiani guadagnino circa 3.700 euro l’anno in meno della media dei colleghi europei e oltre 8 mila euro in meno dei tedeschi. Da quest’analisi si riscontra una retribuzione media annua lorda per dipendente pari a quasi 27 mila euro, nell’ultimo decennio +12%: la metà di quella osservata nella media dei 27 Paesi dell’Unione Europea.
In questo caso, le retribuzioni dal 2013 hanno visto un aumento del 23%. Analoga alla situazione italiana è quella spagnola - ovvero +11,8% - mentre la Francia cresce del 18,3% e la Germania del 27,1%. In Italia, peraltro, si nota anche una perdita di potere di acquisto delle retribuzioni, sceso di due punti percentuali in dieci anni rispetto ad un aumento di due punti e mezzo della media Ue27.
Tutto ciò è “divampato” sul dibattito del salario minimo. Il direttore per l’Impiego, il Lavoro e gli Affari sociali dell’Ocse, Stefano Scarpetta ha dichiarato all’Ansa che in Italia pesa l’assenza di un salario minimo che invece è presente in 30 Paesi Ocse su 38. Un caso menzionato è quello della Germania, che pur contando su una forte contrattazione collettiva ha introdotto una forma di salario minimo (base di partenza nel 2015 8,50 euro l’ora). Altro aspetto messo in luce, in quella sede, le professioni a più alto rischio di automazione che sono le meno qualificate: il 30,1% dei lavoratori in Italia è occupato in professioni con questo pericolo accentuato, rispetto a una media Ocse del 27%.
In Italia la questione salario minimo è stata poi affidata al Cnel.
E i sindacati come si muovono su questo tema così caldo? La Cgil ha annunciato di aver «dato mandato alla segreteria di valutare anche la predisposizione di una proposta di legge di iniziativa popolare per una legge sulla rappresentanza di sostegno alla contrattazione nazionale e per il salario minimo, a partire dall’attuazione degli articoli 39 e 36 della Costituzione e con una soglia salariale oraria sotto cui nessuno sia costretto a lavorare». Di recente il segretario generale Cisl Luigi Sbarra ha detto in tv che il sindacato è «favorevole ad una legge che valorizzi ed estenda i contenuti dei contratti più diffusi e applicati nei settori». Niente muro contro muro, ha ammonito, ma « si avvii un confronto attraverso la condivisione, la collaborazione, ricercando soluzioni finalizzate a rilanciare, a migliorare le relazioni sindacali e a valorizzare la contrattazione collettiva».
Il segretario della Uil Pierpaolo Bombardieri ha ribadito all’interno di questo dibattito: «Il problema è la precarietà. Ai lavoratori vengono fatte offerte vergognose, il salario minimo deve coincidere con i minimi contrattuali».
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