Acque tessili e depurazione, Como capofila

La sfida Enrica Baldini è la project manager di Life Cascade, che 2023 si occupa di togliere Pfas e microplastiche

Enrica Baldini, responsabile dei servizi tecnologici del Centro Tessile Serico Sostenibile, racconta il Life Cascade, progetto partito nel 2023 e finanziato dall’Europa di cui è project manager. Le parole d’ordine di questa iniziativa sono acqua, inquinamento e tessile, mentre la missione è eliminare Pfas e microplastiche dai reflui di scarico.

Come è organizzato il partenariato che ha dato vita al Life Cascade? Qual è il ruolo del Centro Tessile Serico Sostenibile?

Siamo in tanti, ma ben distribuiti e ognuno con un compito ben definito. C’è innanzitutto una parte legata alle università, con il Politecnico di Milano, l’Università di Brescia e l’Università Insubria; sono coinvolti gli enti gestori Lariana Depur e Como Acqua, insieme all’Acquedotto Industriale che rifornisce d’acqua alle aziende; poi ci sono i partner tecnologici, come Aquasoil e Denora, e un laboratorio specializzato, Biochemie Lab; vengono poi la fondazione europea Zdhc, che lavora per una chimica del tessile sempre più sostenibile e nelprogetto si occupa anche di comunicazione e disseminazione, e Citeve, un centro tecnologico portoghese impegnato a supporto del loro distretto tessile, con cui mettiamo in comune le attività e proviamo a replicarle. E poi naturalmente c’è il Centro Tessile Serico Sostenibile, coordinatore del progetto ed impegnato in prima persona in molti filoni di lavoro. Noi ci concentriamo soprattutto sul coinvolgimento delle aziende, oltre ad occuparci di management e reportistica.

Sono due le sostanze inquinanti protagoniste del progetto. Partendo dagli Pfas: come sono collegati all’industria tessile?

Le sostanze che rientrano nella categoria degli Pfas - ossia delle sostanze alchiliche, poli e per-fluorurati - provengono, per quanto riguarda l’industria tessile, da trattamenti a base resina pensati per rendere i tessuti idrorepellenti. Dopo i processi ad umido a cui vengono sottoposti i tessuti, gli Pfas derivati dalle resine arrivano nelle acque reflue e, nei casi peggiori, si disperdono nell’ambiente. È importante ricordare che, negli ultimi anni, le aziende tessili hanno fatto molto per il contenimento degli Pfas, aderendo a protocolli volontari che vanno al di là delle legislazioni nazionali. Nella maggior parte dei casi, le aziende hanno addirittura sostituito completamente le resine pericolose con altri materiali. Tuttavia, si tratta di sostanze molto persistenti, tanto da essere definite “forever chemicals”, e anche in piccole quantità sono difficili da eliminare una volta disperse negli ecosistemi. Come se non bastasse, non è solo l’industria tessile a produrle, ma moltissime altre filiere, dall’alimentare al sanitario. Per questo è necessario impegnarsi per rendere sempre più efficiente la loro rimozione, a tutti i livelli e in tutti i settori.

E per quanto riguarda le microplastiche?

L’attenzione sulle microplastiche è più recente. Anche queste sostanze sono legate a doppio filo con il settore tessile, perché tutti i tessuti sintetici, dal poliestere alla poliammide, possono rilasciare microfibre o frammenti di fibra, che vanno poi ad inquinare le acque e vengono infatti ritrovate in quantità variabili nei reflui industriali. Spesso si pensa solo alle microplastiche che si disperdono a livello domestico, a causa dei lavaggi dei vestiti che indossiamo. Noi invece nel nostro progetto scegliamo di concentrarci sull’aspetto industriale, portando avanti un’attività di valutazione dei reflui in uscita dalle aziende tessili. Si tratta di un lavoro nuovo e molto importante.

Qual è stato ad oggi il più grande obiettivo raggiunto del progetto?

Parto da un obiettivo un po’ tecnico, che riguarda l’allineamento dei laboratori sulle analisi delle microplastiche. I laboratori infatti analizzano campioni molto complessi dal punto di vista chimico e organico, e l’analisi delle microplastiche non è affatto un’analisi semplice, anche perché noi siamo interessati ad analizzare non solo le acque reflue in uscita dalle aziende tessili ma anche quelle di processo. Per questo abbiamo istituito dei protocolli comuni per rendere il campione meglio leggibile. Un altro successo è la caratterizzazione dei reflui per quanto riguarda Pfas e microplastiche per aziende e impianti di depurazione, nei vari processi di trattamento.

Come potrebbe beneficiare il settore tessile comasco di queste sperimentazioni?

Innanzitutto credo che in questa fase per le aziende sia fondamentale sapere cosa effettivamente accade durante ogni processo. Partendo da questa base di conoscenze, infatti, gli imprenditori potranno orientarsi meglio in futuro e regolarsi se verranno introdotte delle limitazioni.

Esiste già infatti una direttiva Acque europea, che sta portando a nuovi monitoraggi e prima o poi potrebbe introdurre anche limiti da rispettare.

Per quanto riguarda i Pfas, poi, alcune regioni italiane hanno già introdotto delle proprie soglie limite. Sempre in quest’ottica, è importante essere pronti a introdurre le tecnologie di rimozione più adatte alle proprie esigenze, sia a livello centralizzato dell’impianto di depurazione sia a piè di fabbrica.

© Riproduzione riservata

© RIPRODUZIONE RISERVATA