Beretta, colosso dei salumi. La battaglia anti rincari.

Alle spalle un 2021 super con 989 milioni di fatturato. Ora la sfida per contenere i costi e non aumentare i prezzi «La fascia medio-bassa dei consumatori più attenta alla convenienza, in atto un grande sviluppo dei discount»

Con oltre 3.500 collaboratori, su 30 stabilimenti fra Italia, Stati Uniti e Cina e mercati di vendita in 72 Paesi nel mondo, il Gruppo Fratelli Beretta continua la sua crescita con una produzione che oggi attraversa tutti i canali di vendita: grande distribuzione organizzata italiana e internazionale, l’Ho.Re.Ca. (hotel, ristoranti e catering), vending (distributori automatici), normal trade e discount.

Dopo una lunga stagione di sviluppo per acquisizioni, oggi il Gruppo registra un fatturato 2021 che sfiora il miliardo di euro ed è impegnato con forti investimenti di crescita interna. Il Gruppo Beretta opera, per la produzione made in Italy che comprende 19 prodotti IGP/Dop, con tre marchi: “Beretta”, che è il marchio per eccellenza dedicato a tutte le linee di salumi e che contraddistingue i prodotti tipici della salumeria italiana; “Wüber”: è il brand specialista che produce la più alta e variegata gamma di würstel e salsicce.

Il terzo marchio è “Viva la mamma Beretta”, leader nel mercato italiano dei piatti pronti freschi. Il 2022 si conferma un anno di ulteriore crescita ma anche un anno di grandi equilibrismi nel gestire l’impatto dei rincari di energia e materiali, che per quanto riguarda il Gruppo spaziano dagli acquisti di carni a quelli di granaglie, agli imballaggi, fino ai rincari sui nuovi impianti e sui trasporti. Ne parliamo con Vittore Beretta, presidente dell’azienda giunta oggi all’ottava generazione di famiglia.

Come sta andando il business del Gruppo sui mercati di Italia ed estero, sia per quanto riguarda la distribuzione commerciale sia per la parte produttiva che avete in Usa e Cina?

L’intero 2021 è stato un anno molto positivo con un fatturato complessivo di 989 milioni di euro. Con il mercato italiano, che ha mostrato un leggero incremento di fatturato, intorno al 3%, mentre l’export in Europa ha segnato un +10%. Molto bene, con incrementi a due cifre per le vendite Usa e nel Far East. Tuttavia in questi mesi in Cina il severissimo lockdown per Covid ha portato alla chiusura totale dei grandi mercati di città come Shanghai e Pechino con inevitabili conseguenze sulle vendite, quindi nei primi quattro mesi di quest’anno il nostro fatturato cinese è pari a quello dell’anno scorso. Ma prevediamo un incremento, la Cina è un mercato estremamente reattivo e appena il lockdown finirà riprenderà immediatamente a correre. Il mercato americano sta andando molto bene anche quest’anno. In Italia i primi 4 mesi del 2022 registriamo un +4%, cresce con un +5% anche l’Europa ma meno rispetto al forte incremento del 2021

In quali nuovi investimenti l’azienda è ora impegnata?

Dopo l’ultima acquisizione, due anni fa, di uno stabilimento a San Daniele Del Friuli, ora stiamo crescendo per vie interne attraverso investimenti perlopiù sugli impianti nei nostri stabilimenti. Nel 2021 in Italia abbiamo investito 42 milioni di euro e negli Stati Uniti, dove stiamo per inaugurare l’avvio del nostro secondo stabilimento nel New Jersey, 45 milioni. Ora, sempre in New Jersey, abbiamo iniziato a costruire il nostro terzo stabilimento che quando sarà completato porterà a quattro le nostre fabbriche statunitensi, includendo quella che abbiamo in California.

Il comparto alimentare è colpito dall’inflazione e dai rincari di ogni materiale, quindi le abitudini di spesa delle persone cambiano. In che misura la sua aziende ne risente?

Ne risentiamo relativamente. I prodotti di alta qualità continuano ad essere scelti dalla clientela di riferimento, mentre notiamo una tendenza della fascia medio bassa alla ricerca del miglior prezzo. È in atto un grande sviluppo dei discount, per noi colonna portante in senso commerciale, dove registriamo sensibili aumenti di fatturato. Ormai i discount non sono più luoghi di bassa qualità e basso prezzo, vendono tutta la gamma di prodotti.

Come va il rapporto con la grande distribuzione?

Durante la pandemia gli ipermercati hanno sofferto, ma ora sono tornati alla loro normalità, cioè stanno mantenendo i fatturati. Nella negoziazione abbiamo un rapporto teso ma che resiste, sia in Italia che all’estero. In Europa, abbiamo rapporti commerciali consolidati con grandi distributori tutti molto esigenti sulla qualità. La Gdo in generale è molto attenta ai controlli: spesso clienti inglesi, svizzeri, tedeschi, scandinavi e naturalmente italiani ci fanno verifiche a sorpresa sugli impianti.

Come sta gestendo tutti gli aumenti di prezzo che si riversano sulle vostre attività di produzione?

Sul tema siamo in conflitto, si ripete a monte quello che accade a valle. Cerchiamo di resistere facendo il possibile per non rimanere senza i fattori necessari alla produzione. Siamo attenti alle speculazioni su certi materiali, ma per fortuna abbiamo una certa esperienza e anche una buona dose di magazzino così riusciamo ad armonizzare un po’ i prezzi. Ma è dura in questo momento.

La sua azienda ha propri allevamenti, quanto la preoccupa la peste suina?

Noi abbiamo investito anche nella filiera suina per poter avere nostri allevamenti in Emilia ed in Lombardia, realizzati con sistemi e tecnologie di ultima generazione e soprattutto per garantire l’animal welfare al mercato, come ci richiedono i distributori e i consumatori soprattutto Oltralpe.

La richiesta sul benessere animale arriva soprattutto dall’Europa del Nord e noi, per avere certezza di poterlo garantire, abbiamo fatto investimenti a monte, sia nelle scrofaie sia nell’ingrasso degli animali, per una materia prima certificata e di ottima qualità italiana. Nel Centro Italia abbiamo il prosciutto di Carpegna, una produzione molto importante che si sta affermando sia nel nostro Paese che all’estero. Ora lo stiamo vendendo bene anche negli Usa.

La peste suina è un problema che ci preoccupa molto perché ha già causato la chiusura di alcuni mercati di esportazione nel Far East, in Cina, Giappone e Singapore. È un problema serissimo che riguarda maiali e cinghiali e non è trasmissibile all’uomo. Ma dovesse esserci una pandemia fra gli animali avremmo grossi problemi per la filiera industriale.

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