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Lunedì 20 Marzo 2023
Cambiano imprese e finanza: boom private equity: +61%
L’approfondimento Innocenzo Cipolletta, presidente di Aifi, analizza i numeri in crescita di raccolta e operazioni registrate nel 2022: «Una generazione di imprenditori più aperta ad una governance di partecipazione da parte di soggetti finanziari»
Il mercato del private equity e del venture capital in Italia ha conosciuto un deciso incremento nel 2022, con numeri rilevanti che hanno superato i precedenti record. Sul 2023, invece, si stanno addensando alcune nubi, come conseguenza dei problemi del mondo finanziario internazionale emersi nelle ultime settimane.
Innocenzo Cipolletta è il presidente di Aifi, l’Associazione italiana del private equity e venture capital che, nei giorni scorsi, ha presentato i dati delle operazioni realizzate in Italia nel 2022. Cipolletta è un economista e dirigente d’azienda che ha ricoperto numerosi ruoli nel panorama economico nazionale. È stato direttore generale di Confindustria dal 1990 al 2000, presidente della Marzotto spa dal 2000 al 2003, del quotidiano Il Sole 24 Ore dal 2004 a 2007 e delle Ferrovie dello Stato dal 2006 al 2010. È stato inoltre un funzionario e dirigente dell’Ocse, oltre che docente universitario. Il manager è presidente Aifi dal 2012.
Dottor Cipolletta, come è andato il 2022 per il private equity ed il venture capital in Italia?
Lo studio realizzato da Aifi in collaborazione con PwC Italia – Deals e dedicato al mercato italiano del capitale di rischio evidenzia nello scorso anno una raccolta cresciuta del 3% rispetto al 2021 e che sfiora i 6 miliardi di euro. Ma è particolarmente significativo il dato degli investimenti che, per quanto riguarda private equity, venture capital ed infrastrutture, si è attestato oltre i 23 miliardi, con un incremento del 61% rispetto al 2021. Il numero delle operazioni è aumentato del 30% a quota 848.
Questi risultati sono merito soprattutto dello operazioni di dimensioni particolarmente significative: il 76% del totale investito ha infatti riguardato i cosiddetti large deal (sette operazioni con equity tra i 150 e i 300 milioni) e i megadeal (17 operazioni con ammontare superiore ai 300 milioni). Sono risultati in crescita anche i disinvestimenti, a quota 4,39 miliardi, con 117 operazioni, con un incremento del 13% sul 2021.
Quali altre indicazioni emergono dallo studio?
La raccolta internazionale sfiora la metà del totale, siamo al 45%, e questo è un ottimo segnale di fiducia da parte degli investitori internazionali nei confronti degli operatori del nostro paese.
Per quanto riguarda le fonti della raccolta, assistiamo ad una crescita del mondo assicurativo, anche se al primo posto ci sono fondi pensione e casse di previdenza. Sul fronte invece degli investimenti, la distribuzione regionale vede al primo posto la Lombardia con il 43,6% del capitale investito, ma ci sono segnali di crescita anche negli altri territori e si assiste ad una copertura nazionale degli investimenti, segno della sempre maggiore presenza e capillarità degli investitori sul nostro territorio.
Per quanto riguarda i primi mesi del 2023, quali segnali avete?
Sicuramente in queste ultime settimane le condizioni stanno cambiando in modo sostanziale, con le tensioni che stanno interessando il mercato finanziario internazionale. Il clima è mutato e c’è una minore propensione ad assumere rischi, in una fase di tensione sul mondo bancario e di aumento dei tassi di interesse. C’è quindi in prospettiva una minor liquidità in circolazione, con l’azione delle banche centrali e i fallimenti delle banche statunitensi, e questo si ripercuote anche sul mercato italiano ed europeo del venture capital. Ci aspettiamo quindi, in particolare per quanto riguarda start up e venture capital, una frenata rispetto ai numeri che abbiamo presentato relativi al 2022.
Quanto sta accadendo a livello finanziario potrebbe avere gravi conseguenze?
Siamo ancora in attesa di conoscere gli sviluppi. Credo tuttavia che le autorità americane siano vaccinate e quindi in grado di assicurare liquidità al sistema bancario e garanzie per i depositi; in questo modo la crisi potrebbe essere arginata prima che diventi sistemica. E l’Europa può comunque reagire a questa situazione attraverso gli operatori istituzionali pubblici, che hanno una capacità di intervento e una visione di più lungo periodo per sostituirsi agli investitori privati. In ogni caso, in attesa di conoscere le decisioni delle banche centrali, un ciclo di rallentamento è prevedibile, ma speriamo sia temporaneo.
Quale è lo stato di salute del vostro settore di riferimento in Italia?
Nel nostro paese non sono presenti fondi che possano misurarsi con i grandi player globali: è per questo che serve un’azione di sistema, da un lato per permettere ai nostri operatori di diventare competitivi a livello internazionale, dall’altra per ripopolare il segmento del mid market di soggetti dedicati, che non possono che essere domestici.
L’Italia produce una quota rilevante di risparmio, in larga misura impiegato all’estero e poi magari investito, attraverso fondi, in un sistema in cui siamo poco protagonisti. Ecco perché come Aifi vogliamo far crescere il mercato: per raggiungere questo obiettivo è necessaria spinta da parte del mondo politico ma non solo.
Quali azioni andrebbero attuate per sostenere lo sviluppo del sistema?
In primo luogo che credo che andrebbero agevolati gli operatori del mid market, evitando di irrigidire il quadro con una regolamentazione da cui derivano importanti costi di gestione. Inoltre l’Italia dovrebbe dotarsi di fondi che stimolino il risparmio privato attraverso l’impiego di capitale, come avviene in Francia, Spagna e Germania. In molti paesi si lavora anche in termini di moral suasion per incentivare gli investimenti in questo mercato. Servirebbe quindi una politica generale di sostegno. C’è stata un’azione pubblica con Cassa Depositi e Prestiti e una legge dedicata ed il settore infatti è cresciuto. Per far raggiungere all’Italia una dimensione paragonabile a quella di altri paesi europei, servirebbero altri fondi di fondi a carattere pubblico per fare partecipare il risparmio privato a questo tipo di attività. Investire e raccogliere risparmi a favore di imprese, attività industriali e di servizio è ciò che serve oggi al paese.
I numeri italiani sono comunque in decisa crescita. C’è stato quindi un cambiamento culturale anche nel mondo imprenditoriale?
Certamente. C’è stato un deciso cambiamento nel campo della finanza e anche nelle imprese. Sta infatti crescendo una generazione di imprenditori decisamente più aperta ad una governance di partecipazione da parte di soggetti finanziari, che sta svecchiando il nostro mondo. L’idea che un operatore di private capital sia un soggetto avversario per fortuna è tramontata, anche perché la maggioranza degli operatori ha ora una visione industriale, ossia è vicino all’impresa.
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