Como progetta i nuovi veicoli spaziali: ripareranno i satelliti

Matteo Trotti, responsabile della qualità in D-Orbit, spiega i progetti ai quali lavora l’azienda di Fino Mornasco. «Saranno mezzi in grado di lavorare in orbita, con interventi di rimozione, manutenzione e rifornimento»

Una nuova famiglia di veicoli spaziali: specializzati nella riparazione, nel recupero e nella rimozione a fine vita di satelliti già in orbita.

È il progetto al quale stanno lavorando gli ingegneri di D-Orbit, l’azienda di Fino Mornasco che si occupa di logistica nello spazio. Nel 2014 l’impresa è stata la prima al mondo del settore aerospazio a ricevere la certificazione B-Corp. Matteo Trotti, chief quality officer di D-Orbit, racconta i risultati di questa realtà.

Come è nata D-Orbit?

D-Orbit è stata fondata nel 2011 da due ingegneri aerospaziali italiani, Luca Rossettini e Renato Panesi, oggi rispettivamente amministratore delegato e direttore commerciale. Luca e Renato si sono conosciuti nel 2009 nella Silicon Valley. Rientrati in Italia, hanno dato vita a D-Orbit, seguendo la loro vision: creare un’azienda aero spaziale che fornisse servizi di logistica e waste management.

Come nasce Ion Satellite Carrier, il vostro primo veicolo di trasporto orbitale?

Tutto parte nel 2013, quando D-Orbit ha vinto un finanziamento dell’Unione Europea nell’ambito del Programma Horizon 2020, culminato con il test in orbita di D-Sat, un microsatellite. D-Sat ci ha permesso di acquisire la conoscenza e la confidenza necessarie per procedere poi allo sviluppo di Ion Satellite Carrier, il nostro primo veicolo capace di trasportare satelliti da un’orbita all’altra per poi rilasciarli nella loro posizione operativa. Da allora, nel corso delle tredici missioni realizzate fino ad oggi, abbiamo trasportato più di 100 satelliti. E in questo momento i nostri ingegneri stanno già lavorando ad una nuova famiglia di veicoli spaziali: saranno specializzati nella riparazione, nel recupero e nella rimozione a fine vita di satelliti già in orbita.

Cosa succede ad un satellite quando arriva a fine vita?

Dopo un certo numero di anni - 25 nelle orbite più basse, 150 nelle intermedie, 1000 o più nelle orbite più alte - un satellite abbandonato è destinato a raggiungere gli strati più alti dell’atmosfera terrestre. A quel punto, la sua velocità decade in maniera sempre più rapida, terminando in una traiettoria di rientro sulla Terra. Al momento del rientro, se il satellite è piccolo, si incenerisce completamente. Se è più grande, alcune parti possono raggiungere la superficie terrestre. Fortunatamente le aree urbanizzate sono una percentuale minuscola della superficie totale del globo e, almeno fino ad ora, non si sono verificati incidenti.

Prima di cadere, però, il satellite può provocare danni.

La presenza di satelliti incontrollati in orbita aumenta il rischio di collisione, un’occorrenza che fino ad ora si è verificata solo una volta nel 2009, quando un satellite Iridium americano operativo si è scontrato con un satellite Kosmos sovietico alla deriva. L’incidente ha provocato una nuvola di detriti, una parte dei quali è ancora in orbita 15 anni dopo. E bisogna considerare che oggi l’aumento esponenziale di satelliti nelle orbite polari può aggravare questo rischio.

I servizi logistici di D-Orbit possono contribuire a risolvere questo problema?

Sì. Oggi i regolamenti internazionali richiedono agli operatori di riservare una parte del combustibile per eseguire una manovra di decommissioning a fine vita del satellite: si tratta di spostare il satellite in un’orbita “cimitero”, che ne causerà il rientro in 20-25 anni. I nostri veicoli spaziali di “in orbit servicing” potranno contribuire rendendo le operazioni più semplici e rapide: saranno capaci di agganciare satelliti per ripararli e rifornirli - aumentando quindi la durata della loro vita - e se necessario rimuoverli. In quest’ultimo caso, i veicoli raggiungeranno i satelliti morti per dotarli di un motore che li sposti in una traiettoria di rientro più veloce, in modo da farli arrivare sulla Terra in poche ore o in pochi anni. Questo tipo di tecnologia, che è già stata collaudata in orbita in contesti sperimentali, non è mai stata proposta a livello commerciale. Intendiamo essere i primi.

La nuova “space law” europea è slittata a dopo l’estate. Cosa auspicate contenga?

Occorre un approccio europeo coerente: bisogna individuare regole comuni per evitare collisioni in orbita, mitigare i problemi derivati dai detriti spaziali, gestire al meglio il rischio e la cybersicurezza, valutare il ciclo di vita dei veicoli spaziali e prevenire l’inquinamento luminoso. Anche le attività come l’in-orbit servicing necessitano di una regolamentazione che, idealmente, dovrebbe essere sviluppata in maniera omogenea tra gli stati membri europei, soprattutto al fine di raggiungere e mantenere una posizione di leadership mondiale.

Perché nel 2014 avete deciso di diventare una B-Corp?

La sostenibilità è parte del nostro dna. Luca Rossettini, il nostro fondatore e ad, ha esteso il quadro standard della sostenibilità dall’ambiente terrestre allo spazio, e lo ha inserito nella nostra visione: “creare la prima infrastruttura logistica spaziale per rendere possibile l’imminente economia spaziale da un trilione di dollari e l’espansione umana in uno spazio sostenibile”. Crediamo che la sostenibilità sia tanto un imperativo morale quanto un vantaggio competitivo, e che svolga un ruolo cruciale nella preservazione dello spazio.

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