Delocalizzare? Non è più stagione

Intervista L’analisi di Re4IT: un azienda su quattro torna a rifornirsi solo in Italia. In atto un grande riposizionamento dei mercati, tra Covid e conflitti

Tensioni geopolitiche internazionali, sostenibilità e transizione digitale sono i tre macro-trend (precedenti al Covid) alla base di una possibile riconfigurazione delle catene produttive e commerciali.

In più, a riposizionare le scelte di produzione e di fornitura ci sono alcuni driver specifici d’impresa, quali l’incremento dei costi di produzione e trasporto, che hanno reso meno convenienti i vantaggi della delocalizzazione.

Ma ci sono anche la necessità di ricongiungere attività di ricerca e produzione, l’effetto “Made in”, il ruolo della pandemia e della guerra in Ucraina e quello della politica. Lo afferma un’indagine realizzata fra giugno 2021 e febbraio 2022 dal gruppo di lavoro universitario Re4IT con il centro Studi Confindustria da cui emerge, fra l’altro, che per più ragioni si fa strada soprattutto quel reshoring delle forniture che sta dando al Made in Italy una nuova chance di crescita grazie a clienti italiani ed europei che tornano a rifornirsi “in casa” compensando fra l’altro i maggiori costi della qualità europea con i risparmi sui trasporti e i vantaggi di tempi di consegna più rapidi.

Ne parliamo con Luciano Fratocchi, ordinario di Ingegneria Gestionale all’Università dell’Aquila e coordinatore di Re4IT a cui partecipano Paolo Barbieri, Albachiara Boffelli, Cristina Di Stefano, Stefano Elia e Matteo Kalchschmidt, rispettivamente delle università di Bologna, Bergamo, L’Aquila, Politecnico di Milano e Università di Bergamo.

Professore, lei coordina l’implementazione della UnivAQ Manufacturing Reshoring Dataset, una banca dati unica nel suo genere per quantità di casi mondiali sul riposizionamento delle scelte di produzione delle imprese. Qual è il dato che oggi sta segnando la tendenza maggiore?

Il dato nuovo, frutto del censimento nazionale da poco concluso, riguarda il reshoring di fornitura: al 2021 il 58,8% delle imprese consultate ha praticato offshoring di fornitura, ma il 15,7% è tornato a rifornirsi sui mercati domestici in Italia e in Europa mentre il 25,5% si è affidato a forniture totalmente nazionali. L’altro aspetto da considerare è il fatto che ora ci si trova in una situazione che da un lato favorisce il reshoring in Italia o, comunque, nei Paesi europei di provenienza delle imprese. Dall’altro lato, persiste la barriera causata dal prezzo dell’energia, che rimane sicuramente un problema anche per chi decide di rifornirsi su mercati vicini.

L’Estremo Oriente e l’Africa sono tuttavia mercati irrinunciabili per alcuni materiali critici, fra cui le terre rare.

Sì, questa è una terza chiave di lettura del riposizionamento dei mercati. L’Unione Europea ha analizzato una serie di materiali critici per i quali il continente è molto dipendente, una dipendenza che di solito è verso Paesi con rischio geopolitico non basso, com’è ad esempio la Cina. Ciò riguarda le terre rare, ma non solo, visto che c’è, in proposito, il grande tema degli approvvigionamenti di semiconduttori. Con il nostro gruppo Re4IT stiamo realizzando analisi sulla possibilità di recuperare materiali critici, scarsi, attraverso approcci di economia circolare: ciò consentirebbe all’Italia e all’Europa di creare i presupposti per forniture sui propri territori, facilitando parecchio le produzioni delle imprese.

Come vede il dibattito in corso in Europa sulla necessità di creare un grande polo produttivo europeo di chip, dopo le iniziative già annunciate anche in Italia per due unità produttive di Intel in Veneto e STM in Sicilia?

Sono tutte ottime iniziative, ma con due caratteristiche: primo, questi stabilimenti hanno ovviamente necessità di essere alimentati da una serie di materiali necessari alla produzione, perciò devono assicurarsi di avere la possibilità di rifornirsi di prodotti non soggetti a rischi geopolitici. Secondo: sul tema dei semiconduttori in Europa c’è un dibattito importante, sia perché sono prodotti complessi sia perché le loro tipologie sono diverse, per applicazioni che spaziano, ad esempio, dalle lavatrici all’automotive, fino ai satelliti spaziali. Quindi è necessario comprendere cosa può essere ione Europea e cosa continuerà invece ad essere legato alle produzioni in Taiwan. Sottolineo di non essere un esperto di chip, ma dai diversi dibattiti che seguo sull’argomento vedo che la cosiddetta global value chain dei semiconduttori è un tema complesso, che investe diversi attori e che ciò che riguarda l’insediamento di stabilimenti di produzione è solo una parte della vicenda.

Quali sono i motivi che hanno convinto le aziende a scegliersi nuovi fornitori in Italia?

Secondo i dati della nostra ultima indagine realizzata in collaborazione con il CentroStudi Confindustria, al primo posto c’è l’aver trovato disponibilità di fornitori in Italia. Hanno inoltre importanza i migliori tempi di consegna. Sul fronte estero pesano, in ordine di importanza, in primis gli aumenti dei costi di fornitura, poi i costi logistici maggiori di quelli attesi, il peso di dover rispettare lotti minimi di acquisto solitamente importanti, la scarsa qualità di approvvigionamenti dall’estero, le difficoltà di coordinamento coi fornitori, e rischi delle catene di fornitura globali, i dazi, l’impossibilità di utilizzare il marchio made in Italy e le motivazioni ambientali. Sono queste, in sintesi, le motivazioni indicate dalle aziende che hanno effettuato il backshoring di forniture.

Ci aspetta un mondo meno globalizzato?

La globalizzazione e le delocalizzazioni non sono finite, ma cambieranno. Fra scelte di delocalizzazioni e di rilocalizzazioni tutto si giocherà sulla capacità dei Paesi europei di tornare ad essere il più possibile attrattivi per gli investimenti stranieri ma anche per quelli di ritorno delle imprese nazionali.

© RIPRODUZIONE RISERVATA