Energia dieci volte più cara: così l’industria si ferma

Intervista Francesco Buzzella, presidente di Confindustria Lombardia, rilancia l’allarme e chiede un intervento europeo. Un conto pesantissimo per la manifattura lombarda: dai 2 miliardi del 2019 ai 20 stimati alla chiusura del 2022

Il tempo è ampiamente scaduto e, senza azioni concrete ed immediate a livello nazionale ed europeo, c’è il rischio di andare incontro ad una deindustrializzazione del paese.

Secondo Francesco Buzzella, presidente di Confindustria Lombardia, imprenditore in provincia di Cremona con le imprese chimiche Coim e Green Oleo, i numeri parlano chiaro: con gli attuali costi dell’energia, le imprese non possono resistere.

Presidente Buzzella, da molti mesi state insistendo su questo tema. I vostri appelli sono rimasti inascoltati?

È una situazione che denunciamo da un anno perché già nel settembre del 2021 i prezzi del gas erano triplicati, raggiungendo il livello di 63 euro per megawattora mentre, nell’epoca pre-Covid, la media era pari a 20. In questi mesi la nostra organizzazione è intervenuta a più riprese, ma purtroppo le leve finanziarie a disposizione del nostro paese sono limitate e quindi non è stato fatto molto. Certo, ora la situazione è diventata drammatica perché, se in primavera sono stati raggiunti picchi di cinque o sei volte superiori rispetto ai costi standard, ora per il gas sono presenti valori superiori quindici volte alla media degli anni precedenti la pandemia. Per questo Confindustria parla chiaramente di una situazione che rende incompatibile l’esercizio dell’attività per molte realtà, soprattutto per quelle energivore.

Pensa quindi che ci saranno rallentamenti produttivi, con ricorso alla cassa integrazione, o addirittura chiusure?

La nostra organizzazione ha stimato una bolletta energetica della manifattura lombarda per il 2022 che supererà di dieci volte quella del 2019. Tre anni fa, infatti, le industrie della Lombardia hanno speso per l’energia due miliardi di euro, mentre nel 2022 dovremmo raggiungere i 20 miliardi. È chiaro che, in questa situazione, molte aziende non riusciranno a lavorare o lavoreranno a singhiozzo. Alcune imprese stanno già producendo in altri paesi, come la Turchia, delocalizzando quindi la produzione; questo avviene anche perché le nostre realtà si confrontano con aziende che, in altri contesti, hanno costi energetici simili a quelli degli anni scorsi. Il rischio quindi è di avere un’emorragia enorme di aziende dall’Europa. Penso soprattutto ai settori della carta, del vetro, dell’acciaio, alla ceramica ed alla chimica. C’è poi un’altra grave conseguenza: a causa dello spostamento dei capo-filiera, le aziende più piccole che ruotano intorno alle grandi industrie dovranno chiudere. Con questi prezzi non è quindi possibile resistere e lo dicono i numeri. Come possiamo pensare, con un Prodotto interno lordo di 1.700 miliardi ed un debito pubblico di 2.700 miliardi, di avere costi aggiuntivi per 300 miliardi l’anno legati all’energia? Peraltro questi costi, che gravano sulle imprese, possono generare un impoverimento generale, riportandoci indietro di cinquant’anni.

Si tratta della più grave emergenza economica degli ultimi anni?

“Credo di sì, perché abbiamo superato la crisi del Covid che è stata una tragedia nazionale ed un’emergenza sanitaria senza precedenti recenti. Ma, sotto il profilo economico, questa situazione è peggiore. Con il Covid, infatti, abbiamo vissuto una parentesi molto dura con i lockdown, ma poi sono arrivati i vaccini e, in breve tempo, l’economia si è ripresa decisamente, con un rimbalzo che ha compensato quasi totalmente il calo precedente. In questa fase, invece, non si vedono spiragli a breve termine per una reale correzione dei prezzi dell’energia. Se il prezzo del gas scendesse a 250 o 200 euro per megawattora, avremmo comunque valori incompatibili con la produzione. Il gas dovrebbe tornare a 30 o 40 euro per megawattora: in questo modo ci sarebbero le condizioni per restare competitivi e per andare avanti. Diversamente, le imprese si sposteranno o chiuderanno.

Quali sono, concretamente, gli interventi urgenti che richiedete?

Da tempo abbiamo chiesto che si affronti il problema a livello europeo, a partire dalla sospensione temporanea dell’acquisto di quote di CO2. Chi brucia metano per produrre energia, infatti, deve acquistare quote di CO2, con un aggravio di costi che vengono ribaltati poi sulle bollette. Questo sistema c’è solo in Europa e pensiamo quindi che, in una fase così critica, sia logico sospendere questo meccanismo. Abbiamo poi chiesto un tetto europeo al prezzo del gas ma, anche su questo tema, non tutti i paesi dell’Unione sembrano allineati. Quindi bisogna attendere e capire se, alla luce degli ultimi rialzi dei prezzi, ci sarà un cambiamento di visione.

E a livello nazionale cosa si potrebbe fare?

L’unica arma nelle mani del governo italiano sarebbe quella di fissare un tetto nazionale ai prezzi, ma questo vorrebbe dire creare nuovo deficit: i costi aggiuntivi sarebbero sostenuti dallo Stato con scostamenti nell’ordine di decine di miliardi. Bisogna però capire se una simile manovra è compatibile con i nostri conti pubblici e quali sarebbero gli effetti, perché uno scostamento di bilancio molto ampio comporterebbe un paese più debole a livello finanziario e questo potrebbe generare un attacco sui titoli di Stato. A differenza di altri paesi, come la Germania, la nostra coperta è sempre troppo corta. I tedeschi sono messi anche peggio di noi per quanto riguarda le forniture, ma hanno la possibilità di effettuare manovre di bilancio che noi non ci possiamo permettere.

Intanto siamo in campagna elettorale e c’è il rischio che passino diversi mesi prima di avere di nuovo un governo nel pieno delle sue funzioni.

Ma le imprese non possono aspettare settimane o mesi. Certo, l’attuale governo è in parte depotenziato perché potrebbe occuparsi solo di ordinaria amministrazione ma qui siamo di fronte ad un’emergenza. È come se ci fosse un terremoto: il governo non se ne occuperebbe comunque? Questo è un terremoto di natura economica e il governo deve agire subito. Se tutto va bene, non ci sarà un nuovo governo prima di fine ottobre e comunque la sua azione non sarà immediata. Occorre agire subito, facendo quello che si può e soprattutto insistendo in sede comunitaria per trovare una soluzione europea che non gravi eccessivamente sulle finanze nazionali.

Al netto di questa emergenza legata ai costi dell’energia, quale è lo stato di salute della manifattura lombarda?

Abbiamo presentato lo scorso 28 luglio, nella sede regionale di Unioncamere, dati congiunturali relativi al secondo trimestre ancora positivi, anche se caratterizzati da un rallentamento dell’export. La prima parte del 2022 è stata buona, ma ora nel secondo semestre rischiamo di vedere vanificati gli sforzi effettuati e la crescita. Teniamo conto che questo non è solo un problema delle imprese: è solo questione di tempo, poi tutti questi aumenti arriveranno ai consumatori finali e questo potrebbe generare un impoverimento prima delle aziende e poi delle famiglie. Con questi prezzi dell’energia, infatti, l’inflazione aumenterà ulteriormente.

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