Fonderie in crisi profonda. «Le imprese sono a rischio»

Fabio Zanardi è presidente di Assofond, l’associazione di Confindustria che rappresenta la categoria. «Il settore delle fusioni è strategico per il Paese, ma nessuno sembra accorgersi delle difficoltà in cui si trova»

«La manifattura italiana sta morendo, ma nessuno sembra accorgersene». Fabio Zanardi, presidente di Assofond, l’associazione di Confindustria che rappresenta le fonderie italiane, ha commentato con queste parole i dati emersi dall’ultima indagine congiunturale del Centro Studi. Anche nel secondo trimestre del 2024 è proseguita la dinamica recessiva del settore, la produzione è arrivata al -8,9% rispetto allo stesso trimestre del 2023. Anche la congiuntura registra un segno meno, la produzione nell’ultimo periodo è calata del -3,1% rispetto a quello precedente. Una dinamica identica si rileva anche per il fatturato, il calo tendenziale è del -9,9% rispetto al periodo aprile-giugno del 2023, mentre a livello congiunturale è del -4,2% rispetto al primo trimestre di quest’anno.

Quali considerazioni è possibile fare su questi numeri?

Il secondo trimestre è stato peggiore del primo e mi ricorda terribilmente il 2009, con cali a doppia cifra per quasi tutte le imprese del settore, un segnale di crisi profonda anche perché a livello quantitativo i giorni lavorabili nel secondo trimestre sono quelli che nessun altro trimestre dell’anno ha. Fisiologicamente se avessimo avuto uno zero di crescita nel secondo trimestre avrebbe significato che qualcosa non andava, essere addirittura in perdita, vuol dire avere una recessione importante.

Le fonderie a quali comparti sono legate?

Il settore delle fusioni è importante e fondamentale, ma spesso viene percepito poco. In ogni oggetto di meccanica, un motore termico o elettrico, le sospensioni di un’auto, una centrale eolica, qualsiasi pezzo di impianto che deve trasmettere il moto, fino alla caffettiera di casa: qualsiasi oggetto di metallo, che può essere di ferro, ghisa, acciaio, alluminio o altre leghe leggere e metalliche, che ha bisogno di una forma particolare, dalle pompe ai chiusini, necessita della fusione. Tutto quello che è legato al progresso, alla meccanica, alla tecnologia, dentro di sé ha delle fusioni che garantiscono caratteristiche meccaniche, prestazioni, sicurezza e costi ridotti rispetto ad alternative in carpenteria. Le fusioni sono fondamentali per la meccanica, l’industria dei trasporti e quella energetica: il calo della produzione delle fonderie indica un rallentamento di tutto il manifatturiero, con prospettive di ripresa che non si intravedono almeno fino al 2025.

Diversi i fattori che determinano le cattive condizioni della domanda: l’inflazione che non cala abbastanza in Europa e tiene fermi i tassi di interesse, l’incertezza economica e le tensioni geopolitiche, gli elevati prezzi dell’energia. In Italia in particolare, il tema energetico resta ancora molto caldo?

Veniamo da anni molto instabili, nel 2022 c’è stata un’emergenza sentita da tutti sui costi energetici. Oggi siamo in una situazione di apparente normalità, sembra che tutto si sia sgonfiato e che ci siamo lasciati questo fenomeno alle spalle, però noi che consumiamo tanta energia, ci troviamo in una situazione ancora più drammatica, perché prima avevamo attenzione e aiuti per compensare questi costi importanti, adesso, dietro a questa apparente normalità, ci troviamo con differenze notevoli rispetto ad altri paesi europei che non ci consentono di poter essere competitivi, di poter prendere quote di mercato. Il Prezzo Unico Nazionale della borsa elettrica italiana a giugno 2024 si è attestato a 103 euro/Mwh, +9% rispetto a maggio 2024, sui valori massimi dell’anno. Ciò vuol dire che paghiamo l’elettricità il 42% in più che in Germania, 72,89 euro/MWh, il 174% in più rispetto alla Francia, 37,6 euro/MWh, l’84% in più rispetto alla Spagna, 56,08 euro/MWh. Un gap che mina alla base la competitività di tutti gli energivori. Questo in un mercato debole che ha poca domanda, per le situazioni internazionali e il costo del denaro, noi italiani siamo i più penalizzati perché anche rispetto ai vicini europei abbiamo questo gap che non è per niente trascurabile.

L’indagine condotta dal Centro Studi Assofond evidenzia che nonostante la situazione di mercato stagnante, nel primo semestre 2024 la maggioranza delle fonderie ha cercato nuovo personale. Può considerarsi un segnale positivo?

No, per due aspetti. La maggior parte delle fonderie italiane sono aziende di famiglia abituate a superare crisi e ad avere una prospettiva di lungo termine, è un modo di pensare che non porta a dire “se il mercato non tira, si ridimensiona l’azienda”, ma porta a voler mantenere la capacità di poter rispondere a una ripresa del mercato. Il secondo aspetto è figlio del mismatch perché è un assurdo che calando il lavoro non si riesca a trovare personale. C’è carenza di competenze o di voglia di fare determinati lavori, pur avendo un calo di lavoro le persone mancano sempre.

Energy release e il piano Transizione 5.0 possono essere utili per il comparto?

Sono misure di sostegno alle imprese, ma non sono ancora pienamente operative ed è fondamentale accelerare i tempi. Transizione 5.0 aiuterà a investire e oltre a questo potrà anche creare un circolo virtuoso con l’aumento della domanda alle fonderie, se ripartono gli investimenti, riparte almeno la domanda nazionale di componenti in ghisa, alluminio e acciaio.

“La manifattura muore e nessuno se ne accorge”, cosa sarebbe necessario fare?

La manifattura deve essere maggiormente attenzionata dalle istituzioni. Abbiamo avuto nelle scorse settimane un incontro con il ministro Urso, sul tavolo ci sono proposte per determinati aspetti legati alla transizione ecologica e alla digitalizzazione che riguardano in maniera trasversale tutte le aziende, nessuno ha la bacchetta magica per far ripartire il mercato, ma ci sono determinati settori, come le fonderie, dove se questa stagnazione dovesse durare ancora a lungo, il risultato sarebbe la sparizione di un intero comparto italiano. È qualcosa che vogliamo oppure no? Secondo me no, anche perché è un’industria strategica per gli aspetti della difesa che sono sempre più importanti. Ci vuole per le fonderie un’attenzione particolare come quella che c’è per le industrie strategiche come chimica e siderurgia e altri comparti. Da imprenditori odiamo i sussidi e gli aiuti, ma siamo di fronte a una situazione dove tecnologie e competenze rischiano di sparire, e quando spariscono una volta, spariscono per sempre. Per favorire la ripresa servirebbero investimenti strategici lungo alcune catene del valore, come quella della produzione di energia elettrica rinnovabile e delle grandi infrastrutture. Occorre far presto, altrimenti la nostra manifattura rischia di sparire.

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