Imprese e Lavoro
Lunedì 15 Luglio 2024
Il 36% dei lavoratori attende il nuovo contratto nazionale: «Un sistema da cambiare»
L’intervista Vincenzo Ferrante, giuslavorista e direttore del Cedri: «L’accordo dei metalmeccanici è un modello, gli altri settori indietro»
A fine marzo 2024 risultano essere 36 i contratti di lavoro in attesa di rinnovo per 4,6 milioni di lavoratori, pari al 35% del totale. Dati pesanti in un contesto in cui sebbene l’inflazione scenda, il costo del carrello della spesa negli ultimi dati Istat invece continua a salire.
Fra i grandi contratti che vanno a rinnovo ci sono quelli della metalmeccanica, che nel precedente accordo hanno introdotto un parziale adeguamento all’inflazione. Ne parliamo con Vincenzo Ferrante, professore ordinario di Diritto del lavoro e, da giugno 2015, direttore del Cedri, il Centro europeo di Diritto del lavoro e Relazioni Industriali.
«Retribuzioni basse e servizi carenti Il nostro Paese si sta impoverendo»
Professore, quanto sarebbe difficile estendere il modello di contrattazione dei metalmeccanici ad altri settori industriali?
I rapporti sindacali nel settore metalmeccanico sono particolarmente saldi e consolidati. Il precedente contratto collettivo fu sottoscritto nel momento peggiore degli effetti anche economici della pandemia e aveva l’ambizione di insegnare a tutti i lavoratori e alle istituzioni del Paese la strada per uscirne. Era un contratto molto ambizioso, che metteva mano al sistema di inquadramento, vale a dire alla classificazione dei lavoratori e alla retribuzione base, un aspetto, questo, che risente molto del trascorrere del tempo. Di fatto, nella contrattazione collettiva in Italia stiamo seguendo i criteri di cinquant’anni fa, invece l’ultimo contratto dei metalmeccanici ha messo in moto un nuovo modello, un nuovo sistema, che richiederà ancora anni affinché il percorso giunga a conclusione.
Quindi è necessario il cambiamento anche in altri settori?
Il Paese non può permettersi un sistema di inquadramento vecchio di mezzo secolo, decenni in cui tantissime professionalità sono state sostituite dall’informatica.È il caso delle tante mansioni esecutive, perciò tante professionalità andrebbero riviste: è un’operazione complicata, perché certamente c’è un rilievo che riguarda l’esperienza professionale, ma le mansioni rispetto ai livelli dei precedenti contratti si sono oggi di fatto ridotte a pochi livelli.
Ad esempio?
Ad esempio, abbiamo diversi tipi di impiegati: impiegati con funzioni direttive, impiegati che svolgono quelle che una volta erano definite mansioni di concetto e che oggi sono attività svolte in autonomia, e abbiamo gli impiegati esecutivi. La revisione è un’operazione che i metalmeccanici hanno avviato ma che in altri settori ancora si fatica ad avviare.
In questi ultimissimi periodi la giurisprudenza e l’Ispettorato del lavoro stanno battendo molto sugli inquadramenti, perché non si capisce perché,ai livelli più bassi, uno stesso soggetto possa essere inquadrato in modo diverso a seconda dell’impresa in cui va a lavorare. Sarebbe bene che questa operazione si completasse e che si avviasse anche in settori ancora lontani. È questa la parte più antiquata del sistema, ed è una parte che spetta alle imprese e al sindacato. Però è un’operazione difficile, perché coinvolge tutti i lavoratori nei rapporti non solo con la parte datoriale ma anche in quella orizzontale dei rapporti fra i colleghi.
Cosa intende?
Un esempio: un lavoratore ne dirige altri, quanto deve essere pagato più di loro? E perché il suo lavoro sarebbe più importante rispetto a quello dei sottoposti? Pensiamo ad un ospedale: certo, un ospedale senza medici è il nulla. Ma un ospedale senza infermieri lo è altrettanto, e lo stesso vale per chi organizza il lavoro di medici e infermieri. Quindi: quanto vale il lavoro di ciascuno di tali profili? È un’operazione che nella contrattazione privata abbiamo rinviato, nella contrattazione del settore pubblico qualcosa d’importante si è fatto. Nel pubblico sono quasi del tutto assenti i profili da operaio e con la seconda tornata contrattuale del 2000 si sono individuati quattro livelli, che in linea di massima corrispondono ai titoli di studio. Tutto ciò per quanto riguarda l’aspetto normativo.
Come si dovrebbe intervenire sull’aspetto retributivo?
Lo diciamo da anni: in Italia il lavoro è pagato poco, come ci dicono anche le statistiche Ocse. Significa che le professionalità migliori se ne vanno, accade da vent’anni. I giovani sono pagati poco e, comunque, nel nostro Paese i livelli retributivi sono davvero molto modesti. Se lo Stato mettesse a disposizione ottimi servizi pubblici, dalla scuola alla sanità, all’università, ai trasporti allora un salario attuale potrebbe bastare. Ma ciò non accade, mentre in altri Paesi i salari sono più alti e ci sono anche i servizi. Il nostro Paese vive una generale tendenza all’impoverimento.
Come valuta la qualità del dialogo sindacale fra le parti?
A livello di categorie ci sono aree dove il dialogo c’è, è profondo e accettato. Sono magari anche categorie aperte alla concorrenza internazionale, penso ad esempio al settore chimico, dove si compete sul mercato globale. C’è una difficoltà del sindacato nel mettersi nella prospettiva dell’impresa e c’è una difficoltà della parte datoriale nel mettersi nella prospettiva dei lavoratori. Pensiamo alla Germania e, in misura minore, all’Olanda e alla Francia, in cui ciò non accade e non per questo l’industria di quei Paesi risulta appesantita dalle pratiche concertative. Inoltre, nelle nostre rappresentanze sindacali e datoriali inizia anche ad esserci una certa carenza di leadership.
Perché in Italia si tarda tanto a rinnovare i contratti?
Prendendo lo sport come metafora del Paese, osserviamo che la nostra squadra nazionale di calcio da anni non si può guardare: i nostri giocatori non sono in grado di giocare, e sono lo specchio del Paese. Le difficoltà nell’organizzare, nel saper far crescere, nel selezionare i migliori sul territorio, nel dare ai giovani la forza di saper affrontare le difficoltà sono ormai endemiche nel nostro Paese. Ciò attraversa tutti i settori del Paese. Per quanto distratto dagli aspetti politici i leader devono rendersi conto che servono programmazione, scelte coraggiose, persone di spessore e guide costituite da persone trasparenti capaci di scelte condivise.
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