Il green abbatte i costi: «Con la sostenibilità si riducono i consumi»

Intervista Giorgio Penati, presidente del Centro tessile serico: «Ottimizzando i processi, abbiamo tagliato i consumi di gas del 10-15%»

Il Centro tessile serico di Como collabora con le aziende per accompagnarle nel processo di misurazione e riduzione del loro impatto ambientale, a garanzia di alti standard di sostenibilità. Il presidente, Giorgio Penati, racconta un’evoluzione in atto da tempo.

In un momento di acuta crisi energetica, quale valore conserva un impegno verso la sostenibilità dei processi nell’industria tessile?

Le aziende del tessile comasco hanno fatto negli ultimi anni un grande sforzo per migliorare le prestazioni per metri di tessuto.

Abbiamo calcolato la diminuzione del metano in modo indicizzato. Perché un conto è ridurre l’utilizzo perché c’è un calo di lavoro, un altro è produrre meglio. Per questo oggi possiamo rilevare che è stato risparmiato tra il 10 e il 15% ottimizzando i processi e rendendoli più efficienti.

Ora quella maggiore efficienza raggiunta e quindi il risparmio di metano, con benefici sia in termini ambientali che economici, è stata vanificata, dal punto di vista dei costi, dal prezzo raggiunto dal gas. Una situazione contingente drammatica. Ma vale la pena valorizzare quanto fino ad ora è stato fatto nella logica della sostenibilità.

La sostenibilità promossa dal Centro serico è da intendersi ad ampio spettro, cosa significa?

L’industria tessile di Como sta lavorando da quattro anni misurando sia gli indicatori per la qualità ambientale con l’obiettivo di ridurre le emissione di CO2, oltre ai rifiuti, sia in termini di sostenibilità sociale e di welfare per i dipendenti intervenendo sul turnover, sulla governance, impegnandosi per ridurre gli infortuni con azioni di prevenzione e formazione, ottenendo buoni risultati anche in questo ambito.

Quanto è stato il costo per le aziende di questo processo globale?

Molto varia dalla dimensione delle imprese e dalle scelte dei diversi imprenditori.

Alcune hanno investito in pannelli fotovoltaici, altre nella sostituzione di centrali termiche e scambiatori di calore.

C’è chi ha fatto investimenti consistenti e chi ha lavorato contro lo spreco.

Il dato che oggi si nota come rilevante è che questi investimenti, visti inizialmente solo sotto un profilo di sostenibilità e ad opera delle aziende più aperte e avanzate, si sono rivelati lungimiranti perché il ricorso alle energie alternative adesso è l’elemento che permette di contenere i maggiori costi energetici. Hanno quindi attutito quello che è un incremento di costi mai visto. Questo a riprova che l’azienda del futuro è quella che investe. Se prima era una scelta, ora è diventata una necessità.

Purtroppo questo sforzo di conversione energetica però è, ad oggi, insufficiente. Inoltre il ricorso al gas resta irrinunciabile per attività fortemente energivore che rappresentano una parte delle aziende tessili.

Come valuta i risultati sul trattamento delle acque reflue?

L’industria tessile utilizza una grande quantità di acqua e sull’impatto sulle acque in effetti sono stati fatti importanti passi in avanti. Si è agito da tempo sui grandi inquinanti convenzionali come i colori e i carichi organici. Ora le aziende proseguono il percorso di sostenibilità agendo sulle microfibre e sui microinquinanti per eliminare i pfas.

Si tratta di un altro grande impegno a fronte di aziende di altri paesi che si muovono entro limiti più ampi: come si gestisce una competizione internazionale “impari”?

I mercati internazionali, i nostri competitor in altri paesi, su questo percorso sono più indietro, ma arriveranno anche loro a perfezionare i processi per renderli più sostenibili.

Il mercato globale non è fermo, ma sta intraprendendo questa strada. Se è vero che altrove hanno un costo del lavoro più basso e regole sull’inquinamento più lasche, anche in questi paesi stanno modificando i processi di produzione per accedere alle certificazioni.

Ci sono fabbriche in Cina e in India che corrono in termini di innovazione. Inoltre la stessa azienda che opera in Italia o in Europa ha fornitori o sedi anche in altri paesi extra Europa.

Sui presidi ambientali e sulla sicurezza i nostri competitor si stanno evolvendo molto velocemente, non dobbiamo illuderci che gli standard europei siano un unicum.

Certi livelli di sostenibilità sono semplicemente frutto di forti investimenti in innovazione e in Cina e in India mettono a disposizione ingentissimi capitali, i macchinari sono di ultima generazione e quindi molto performanti ed efficienti.

Se vogliamo mantenere il nostro vantaggio e accettare la sfida, dobbiamo accelerare nei processi di innovazione e comunicare di più e meglio come lavoriamo.

Come?

Attraverso dei report di sostenibilità con dati e numeri a supporto. Sul fronte della comunicazione siamo ancora deboli, facciamo fatica a trasmettere il valore del processo di innovazione sostenibile e il percorso che ha trasformato le nostre imprese. Si tratta di misurare i risultati del lavoro e dei processi produttivi per poi trasmettere questi traguardi, condividere i risultati e anche difenderci.

Come si raggiunge il consumatore finale?

È importante che tutto il processo di produzione sia riportato in etichetta. Il made in Italy deve essere riempito di contenuti e affiancato, come prevede la normativa europea, dal dettaglio su come è stato lavorato un capo. Ora non è riportato e ottenere questo upgrade è una decisione europea o almeno del Governo italiano. Per ora a noi resta in carico lo sforzo, anche se ancora l’obbligo non c’è, di far sapere come funzionano le nostre produzioni e questo è quello che vogliamo proporre alle aziende. Sarà poi lo stesso cliente finale che sceglierà di premiare i processi realmente green. Ci sono imprese che a questi protocolli aderiscono volontariamente e altre che invece agiscono solo su una parte delle produzioni promuovendo in modo efficace campagne di green washing. Dobbiamo invece fare in modo che l’acquisto sia informato e consapevole.

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