Il turismo cresce, ma serve qualità

Intervista Marco Grumo, docente alla Cattolica: « Gli investimenti sono fondamentali. E bisogna valorizzare la risorsa personale, anche con salari competitivi»

«Le rappresentanze economiche e istituzionali devono unire le forze, così il turismo diventa una risorsa economica per tutto l’anno», afferma Marco Grumo, professore di Economia aziendale in Università Cattolica e componente dell’Osservatorio “Cattolica per il Turismo”

Professore, nei dati ancora parziali sembra che la stagione turistica stia andando molto bene. Conferma?

Tolto il periodo di stretto lockdown, con le limitazioni imposte a spostamenti e voli aerei, in realtà il turismo nelle località di pregio non ha mai smesso di funzionare con successo. Quello turistico è un mercato diviso in due, fra clienti sensibili al prezzo e altri che non lo sono. Il turismo di nicchia, e relative strutture, funziona a prescindere dalla congiuntura economica. Cosa diversa è per il turismo di massa, che sta ripartendo e al quale gli investimenti agevolati dal Pnrr, seppure il piano sia solo agli inizi, possono dare una grande mano. Il Pnrr darà tuttavia i suoi pieni effetti sull’intero comparto. È solo questione di tempo.

Qual è lo stato di salute delle strutture che hanno resistito agli effetti del Covid?

Dove il turismo è di più alta qualità le imprese del settore, avendo anche avuto più riserve a garanzia di un buono stato di salute finanziaria, hanno accusato minori contraccolpi e si sono ben reinserite nella ripresa. Quelle che invece lavoravano in località più di massa o, comunque, di minor pregio, puntando sul prezzo e sul turnover e quindi sulla quantità, si sono ritrovate con margini più bassi e spesso davanti alla decisione di chiudere o vendere. Molte smettono di investire e vengono acquistate, in particolare anche da catene estere, attive in questo periodo sulle strutture italiane, in tante località e in tanti comparti del turismo.

Perché quelle in attività, anche di standard elevato, affermano di non trovare personale adeguato o, comunque, disponibile a lavorare?

Su questo punto ha ragione il presidente americano Biden che in sostanza a chi dice di non trovare manodopera ha risposto sbrigativamente di pagarla di più in quanto sicuramente così le persone si trovano. Bisogna sempre ricordarsi che, specie nell’attuale contesto economico competitivo, il personale è un investimento, e non un costo, e quindi bisogna comportarsi di conseguenza. Chi investe sul personale di solito “vola” di più di chi non lo fa, e questo vale in tutti i comparti dell’economia e per le imprese di ogni dimensione, anche quelle più piccole.

Quindi non è questione di contratti ma di cultura imprenditoriale?

È proprio così. Io coordino un corso di management per il turismo e spesso i miei studenti trovano lavori di alta qualità in imprese straniere o all’estero, poiché tali realtà investono in media molto di più sui giovani altamente preparati, presentando anche percorsi di carriera più nitidi e stipendi più elevati, nonché lavori per 365 giorni l’anno. In Italia dobbiamo crescere tanto su questo punto, cioè in termini di cultura dell’investimento sulle persone di alta qualità, a differenza del mondo anglosassone. Chi risparmia sulle persone di qualità di solito non sopravvive, specie nell’attuale contesto. Del resto, il turismo di qualità è anzitutto fatto di relazioni di qualità, possibili solo avendo personale di alta qualità su cui bisogna investire tanto e continuamente. La questione contrattuale è successiva a questi ragionamenti. Inoltre i contratti pongono dei limiti minimi e non massimi.

Un bravo receptionist dunque va pagato bene?

Certo, deve prendere tanti soldi perché aiuta e fa contento il cliente e questo è tutto per un’impresa turistica. Il valore attuale è futuro di ogni impresa parte sempre dalla cosiddetta ’prima linea” e cioè dai “punti di contatto” e di assistenza del cliente, sia quello attuale che quello “prospect”. Il turismo, come detto è anzitutto è soprattutto “relazione” di qualità e differente.

E se un’impresa dice di non aver soldi per stipendi più alti e di essere quindi costretta a lottare sul costo?

A quel punto l’impresa si chieda perché non ha soldi. Solitamente quando c’è cultura imprenditoriale elevata ci sono anche i soldi, perché l’impresa va bene, è ben organizzata, ha le persone giuste, investe ed è sana anche dal punto di vista finanziario. A differenza della strada degli investimenti, quella dei tagli o di gestioni “al ribasso” non porta soldi ed equilibri finanziari di lungo periodo.

Lo Stato deve aiutare di più le imprese del settore?

Lo Stato con il Pnrr sta facendo la sua parte. Non penso possa fare di più in questo periodo di emergenza generalizzata; anche durante il Covid non me la sento di dire che abbia fatto poco. Ad ogni modo, il compito di uno Stato non deve essere quello di un attore assistenziale, bensì deve agire da motore di avviamento dando soldi, come ha fatto, nei momenti di difficoltà per permettere il rilancio delle imprese. Un motore che però poi è in grado di girare da solo, senza aiuti cronici, e cioè grazie alla capacità e alla bontà di quell’impresa. Queste sono le imprese di qualità di cui c’è necessità oggi e che fanno l’economia forte. La riflessione sulla qualità delle imprese italiane è aperta. Le imprese di qualità hanno una situazione finanziaria solida, riserve, bassi livelli di indebitamento, ma soprattutto una cultura imprenditoriale evoluta e investono molto sulle persone. Con queste imprese ce la faremo.

È possibile destagionalizzare il turismo in modo da creare occupazione stabile?

Anche in questo caso dipende dalla cultura imprenditoriale che si mette in campo. La destagionalizzazione richiede lo sviluppo di progetti distintivi da offrire in primis al mondo dell’impresa di un determinato territorio. La singola struttura non può destagionalizzare se intorno non c’è un contesto che non offre i suoi servizi tutto l’anno. Una struttura turistica può organizzare le migliori iniziative, ma se i clienti escono e trovano un ambiente desolato e desolante quello sforzo sarà stato inutile. Serve un progetto di sistema.

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