Inflazione: «l’euro è fattore chiave dell’evoluzione economica dei Paesi Europei»

Intervista Luigi Campiglio, professore di Politica Economia all’Università Cattolica, rilancia anche su retribuzione e produzione: «Con un buon salario, ci sono buoni prodotti e servizi»

Le famiglie vanno sostenute, quindi ben vengano le nuove misure annunciate per fine luglio con un nuovo Decreto Aiuti, ma «risposte e misure isolate da parte dei singoli Stati per far fronte agli effetti dell’inflazione, dei rincari e della guerra in Ucraina non funzionano. Serve una politica monetaria coordinata a livello europeo. Ora serve una politica monetaria che favorisca la ricostituzione di capitale circolante per ridare ossigeno alle imprese e quindi al lavoro e ai redditi», afferma Luigi Campiglio, professore di Politica Economica in Università Cattolica.

Professore, l’euro alla pari del dollaro porta più valore alle imprese italiane esportatrici, ma in dollari si pagano anche le importazioni energetiche i cui rincari sono già causa di impoverimento dei redditi. Cosa ci aspetta dall’indebolimento dell’euro anche guardando agli effetti sul potere d’acquisto delle famiglie?

Siamo in un quadro molto difficile. Per la prima volta nei suoi circa vent’anni di storia l’euro nei giorni scorsi è sceso sotto la parità e ciò rispecchia la valutazione dei mercati sulla tenuta dell’Europa. L’euro è fattore chiave dell’evoluzione economica dei Paesi europei, perciò mi auguro che una situazione così seria porti finalmente una risposta di politica monetaria e fiscale coesa da parte europea. Se la Germania ritiene di potersela cavare da sola senza che ciò crei danno all’Area euro si sbaglia. Anche per effetto del cambio euro-dollaro ci saranno difficoltà per le famiglie, con la revisione di stili di consumo e di vita. Sui costi energetici in vista dell’inverno sono possibili manovre per dare protezione alle famiglie e comunque ai redditi più esposti. Circa i vantaggi sulle esportazioni, credo non siano tali da compensare gli effetti dei maggiori costi.

Cosa serve oggi per sostenere la quotazione dell’euro?

La Bce non ha un mandato a sostenere la quotazione dell’euro, tuttavia le politiche che vanno nella direzione di sostenere l’economia inevitabilmente possono portare a una ripresa di fiducia nell’euro. Altrimenti sarebbe una vendetta a posteriori dei mercati sulla tenuta di una valuta ormai acquisita come valuta di riserva in tutto il mondo. La caduta del cambio da 1,10 a 1 è stata una botta molto pesante. E magari cercheremo anche si capire se questa non sia una dinamica pianificata a tavolino.

C’è una parola chiave per ridare fiato all’economia e ai redditi?

Sì, la parola chiave è “scorte”, e non mi riferisco solo agli stoccaggi di gas. Scorte energetiche, certo, ma anche scorte nei magazzini delle imprese e scaffali pieni.

Questa però è la parte risolutiva, di un’economia a gonfie vele e con consumatori in grado di spendere.

Questo è un dato che possiamo raggiungere a partire anche dalla situazione attuale. Non basta fermarsi a parlare di inflazione e produzione: tutti i problemi legati alle catene produttive non esisterebbero se le imprese coinvolte avessero avuto scorte adeguate e costanti. Il mondo del just in-time è finito e so che nelle imprese stiano nascendo in proposito nuovi ragionamenti. Ma per avere magazzini pieni serve capitale circolante per finanziare un livello di attività produttiva che riempia gli scaffali. Tutto ciò serve affinché le famiglie possano tornare in condizione di lavoro e di reddito tali da svuotare gli scaffali.

Tutto ciò si lega dunque a migliori salari?

Dietro un buon salario c’è un prodotto o servizio altrettanto buono. Se non si considerano insieme questi due aspetti tutti i discorsi che si fanno sull’aumento della produttività perdono significato. La produttività è valore aggiunto e la gran parte di valore aggiunto è nuovo salario. In salari sono bassi perché la qualità di molti prodotti non consente sul mercato una domanda appropriata a prezzo più elevato. Siamo alla guerra dei prezzi, che da un lato è segno di concorrenza, ma dall’altro abbassa il livello della competizione perché non si basa su aspetti innovativi dei prodotti ma, piuttosto, è conseguenza di riorganizzazioni aziendali. Abbiamo bisogno di imprenditori con grandi visioni. Ce ne sono, ed è il loro momento.

Cosa pensa di Confindustria che dice no agli aumenti salariali rispetto all’inflazione?

Penso che Confindustria dovrebbe indirizzare un appello in primo luogo ai propri imprenditori affinché i più eccellenti e innovativi, nelle cui aziende ci sono anche buoni salari, stimolino emulazione fra gli altri imprenditori, visto che le dinamiche che portano ad alti salari diventano fattori di emulazione per tutta la struttura produttiva e retributiva. Esistono imprese che attuano politiche di questo genere e non mi pare siano quelle che falliscono. Bisogna imitare i migliori.

Lei condivide il salario minimo?

Sì, lo condivido, anche se ritengo sia un tema da “economia normale” ma non per questo poco importante. Diversi anni fa negli Stati Uniti uno studio che ha fatto storia dimostrò che l’introduzione del salario minimo non comportò nessun disastro economico e occupazionale. Al contrario, le catene produttive hanno ritrovato forza e hanno aumentato l’occupazione, spinte anche da una rinnovata motivazione da parte dei lavoratori. Per progredire serve innovazione incorporata nel capitale, qualcosa che purtroppo in Italia c’è poco: mettere in campo un’adeguata quantità di capitale produttivo è un driver molto forte di crescita e di salari. Bisogna avere visione per guardare al futuro, augurandoci che questa situazione pesante per il Paese e per l’Europa trovi uno sbocco. Purtroppo non penso che ciò avverrà in pochi mesi.

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