L’auto elettrica non sfonda. «Il problema è innanzi tutto culturale»

Italia fanalino di coda in Europa e le carenze infrastrutturali non sono il principale ostacolo che va superato. Marco Clerici, ad del Gruppo Clerici Auto: «C’è ancora l’ansia da autonomia, ovvero la paura di restare per strada»

Il ritardo degli ecobonus per le auto ha paralizzato il mercato per mesi ed è fresca la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Dpcm Ecobonus. Una fase di stallo di sei mesi dall’annuncio all’attivazione dei bonus che ha avuto conseguenze sull’intera filiera, già compromessa dal passaggio all’elettrico. Transizione che in Italia stenta a imporsi, ma che è irreversibile, come spiega Marco Clerici, amministratore delegato del Gruppo Clerici Auto, attivo dal 1969 con dodici sedi tra Como, Varese, Milano e Monza.

Perché è stato un problema il ritardo nella diffusione delle auto ad alimentazione elettrica?

Nel 2035 è prevista la chiusura in Europa della produzione di vetture termiche. È una data già fissata da tempo che presenta solo una moderata variabile di incertezza dovuta alle prossime elezioni del Parlamento europeo che potrebbero dare una svolta differente a tutti i temi del Green Deal. In ogni caso i processi produttivi delle grandi aziende di auto sono già cambiati nella direzione dell’elettrico e quasi tutti i manager dell’automotive si dicono convinti che il cambiamento dal motore termico a quello elettrico avverrà, perché sono già stati fatti investimenti importanti e irreversibili.

Qual è la situazione in Italia?

A fine 2023 il parco circolante delle autovetture per alimentazione è composto per l’84,8% da auto a benzina e diesel. Sono in crescita le ibride a quota 5,3% e le auto a Gpl al 6,5%. Aumentano anche le vetture elettriche che sono 220.000 e le Plug-in a quota 242.000 unità, ma insieme formano l’1,1% del totale.

Anche l’età media del parco auto circolante in Italia è alta: 12,5 anni, in progressiva crescita dal 2009, quando l’età media delle auto era di 8 anni. Le ragioni di questo rallentamento nel rinnovo sono da ricercare nel contesto globale e nella conseguente debolezza del mercato auto.

Però il 2023 è stato un anno positivo per il mercato: in Europa è cresciuto complessivamente oltre il 13% e in Italia del 19%: merito di un interesse per le nuove auto?

Il recupero avvenuto lo scorso anno è dovuto a diversi fattori e si spiega per una serie di elementi difformi che si sono visti in epoca post covid. Per esempio c’è stata per un certo periodo una carenza di auto. Anche per questo è un dato difficile da interpretare, però è sicuramente positivo.

Nello specifico, si osserva che negli ultimi anni, dal 2017 ad oggi, sono calate in modo evidente le immatricolazioni di auto diesel che progressivamente vanno scemando e nello stesso periodo c’è stato un recupero della auto a benzina e ibride. Sono aumentate anche le immatricolazioni di auto ad alimentazione elettrica che però non stanno aggredendo il mercato italiano perché, alla fine del ’23, si sono fermate a una quota di crescita del 4,2%.

Accade il contrario nel resto dell’Europa: Germania e Francia, per esempio, l’anno scorso hanno vissuto dei mesi in cui l’elettrico era cresciuto anche al 15 e al 18 %, percentuali decisamente diverse dall’Italia che per la diffusione delle auto ad alimentazione elettrica è il fanalino di coda.

Per quali motivi siamo diffidenti rispetto al motore elettrico?

Per una ragione culturale. C’è un diffuso scetticismo: l’elettrico è percepito come una tecnologia in grande evoluzione, per esempio la durata delle batterie delle vetture elettriche migliora di anno in anno, anche per questo si tende ad aspettare che escano auto con maggiori prestazioni.

Ma c’è di più: in molti provano la cosiddetta “range anxiety”, l’ansia da autonomia, la paura del conducente che un veicolo non abbia sufficienti riserve di energia per coprire la distanza stradale necessaria per raggiungere la destinazione prevista. Ne segue una serie di previsioni con derive talvolta paranoiche che con una buona informazione e formazione possono essere smontate. Esistono App di ricarica alle quali possiamo delegare la pianificazione del viaggio inserendo dati molto precisi e definiscono le soste da fare e il tempo di attesa.

Inoltre l’utilizzo di vetture elettriche prevede delle abilità digitali che forse non sono così diffuse come si potrebbe pensare, soprattutto per la cosiddetta generazione X, i nati tra il 1965 e 1980, che però sono la maggioranza di chi acquista un’auto.

Infine la mobilità tradizionale ci aveva abituato molto bene, ma la sostenibilità ci richiede una riflessione in tal senso.

C’è anche una responsabilità pubblica nella temuta difficoltà a trovare le colonnine per le ricariche?

L’infrastrutturazione pubblica di punti di ricarica in Italia ha mostrato un’accelerazione, ma rimane molto indietro. Il nostro Paese è in quindicesima posizione n. 15 nel ranking europeo in base al numero di punti di ricarica per 100 km. Sono solo 7,9 contro i 12,3 nella media Europea.

La situazione dovrebbe migliorare grazie anche ai fondi del Pnrr e anche nella nostra provincia, negli ultimi sei mesi, vedo che le colonnine sono sempre di più.

Ma non è detto che sia questa una ragione dirimente: la Spagna, per esempio, come infrastrutture era messa peggio di noi ma il mercato dell’elettrico era comunque migliore del nostro.

C’è allora una ragione di tipo economico alla radice di questa dinamica?

Si, le vetture elettriche sono percepite come molto costose. Per questo il procrastinare l’avvio degli incentivi è molto grave. L’annuncio avvenuto tempo fa ha fermato di fatto il mercato perché si è stati tutti in grande attesa della pubblicazione degli ecoincentivi e questo ha inciso maggiormente sulle vendite delle macchine elettriche perché gli incentivi per le auto a basse emissioni sono molto importanti. Questo ritardo ha creato un’attesa enorme, ha rallentato gli acquisti, poi ha bloccato le concessionarie e quindi le case automobilistiche. Una catena di danni.

Chi si avvantaggia di questa situazione di stallo?

Le soluzioni ibride: siano in un momento in cui i marchi offrono tutte le ipotesi. Nell’incertezza le persone si orientano verso i motori termici che beneficiano dell’aiuto, più o meno importante, di una parte elettrica. Per cui oggi sul mercato vincono i brand che riescono a tenere aperte più opzioni.

Allora è possibile che nei prossimi 10 anni ci sia un parco macchine circolante con diverse alimentazioni, ma questo non crea un grande problema organizzativo per i servizi e le infrastrutture?

No, perché comunque le aziende si organizzano. Anche se il Parlamento europeo ha deciso che entro la fine del 2034 le macchine termiche non saranno più prodotte comunque chi compra un’auto di quel tipo a fine ’34 e la tiene dieci anni, sarà circolante ancora fino al 2044 con le relative necessità che andranno esaudite. Inoltre siamo alla vigilia di elezioni che potrebbero modificare degli orientamenti o suggerire delle proroghe.

È l’auspicio anche delle case automobilistiche?

Non proprio, i manager del mondo dell’auto dicono che ormai “il dato è tratto”, nel senso che gli investimenti verso un’elettrificazione totale sono stati fatti. Quindi anche se la politica dovesse derogare alla data del 2035 o scegliere diversamente, ormai la spinta alla transizione è stata impressa. Tutta la trasformazione tecnologica delle grandi imprese è stata realizzata e non torneranno più indietro: sono stati sostituiti i macchinari per produrre auto, per cui il motore elettrico è quello destinato a essere predominante nel futuro.

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