Imprese e Lavoro
Lunedì 16 Maggio 2022
«L’export in calo allarma le ditte»
Il docente Paolo Balduzzi: «La guerra penalizza tante nostre aziende, ma non vedo in arrivo una recessione, anche se c’è un rallentamento»
«Non vedo lo spettro di una recessione, ma certo c’è un rallentamento dell’economia e dei consumi».
Paolo Balduzzi, professore di Economia pubblica e Scienza delle finanze in Università Cattolica guarda alle nuove incertezze innescate sull’economia dal conflitto in Ucraina e confida nel fatto che la Bce allo scopo di ridurre l’inflazione non alzi i tassi d’interesse, anche perché, ricorda «è pur vero che nei primi mesi dell’anno l’inflazione ha corso parecchio, ma il tasso medio di crescita dei prezzi oggi resta inferiore a quello di crescita costante registrato dalla nascita della Bce».
Intanto a più riprese il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, ha sottolineato come nell’economia nazionale nonostante il boom di ordini che hanno le aziende dalla fine del 2021 sia in atto un rimbalzo e non una ripresa, con una previsione di crescita del Pil che gli analisti del Centro Studi Confindustria indicano nell’1,9% per quest’anno e dell’1,6% nel 2023 nello scenario migliore.
Professore, Confindustria parla di “stime spaventose” sul prossimo andamento del Pil nazionale e prevede recessione. E’ d’accordo?
Senza dubbio assistiamo a prospettive di crescita più basse di quelle che ci attendevamo prima dello scoppio della guerra in Ucraina, ma mi sembra che le previsioni di tipo macroeconomico del Governo siano positive nel senso della crescita, seppure rispetto alle attese di un anno fa ci sia un rallentamento. Non ritengo dunque che ci sia una recessione in vista. Circa le dichiarazioni del presidente di Confindustria, penso siano dovute al fatto che l’associazione abbia a cuore le sorti dei settori particolarmente colpiti dalla stretta sulle esportazioni e sulle importazioni. Del resto non stiamo vedendo interventi significativi di taglio del cuneo fiscale per favorire una politica industriale.
L’inflazione amplia la platea della povertà ma gli industriali si dicono contrari all’incremento degli stipendi base. Cosa ne pensa?
Penso che sia opportuno gestire le questioni salariali nel modo il più possibile vicino alle imprese, attraverso contratti territoriali o aziendali, perché sono molte le variabili legate alla tipologia e alle situazioni che le diverse imprese stanno vivendo. Purtroppo la contrattazione aziendale continua ad essere molto poco diffusa.
Pensa che la Bce debba alzare i tassi?
Il fatto che la Bce continui a rinviare la decisione di rialzo dei tassi indica un voler prendere tempo per evitare di terrorizzare i mercati. È pur vero che l’inflazione resta sempre un fenomeno importante che però ultimamente ha rallentato rispetto alla crescita molto elevata di inizio anno. Credo che oggi ci sia un punto interessante da monitorare, che riguarda il conflitto in Ucraina, dal momento che non c’è alcun chiaro segnale che indichi quali sviluppi potrebbe avere la situazione. Più si prolungano il conflitto e le sanzioni e più si creano effetti di chiusura sulle importazioni e le esportazioni, un dato, questo, che penalizza in particolare l’Italia e ancora più in particolare le imprese della nostra zona (Balduzzi è comasco, nda).
Diverse banche centrali hanno aumentato i tassi per tenere sotto controllo l’esplosione dell’inflazione. Su che base la Bce deciderà se farlo o meno?
Se la Bce deciderà che l’aumento dei prezzi in atto da tempo è strutturale e non dovuto solo allo choc del rapporto fra domanda e offerta in un periodo economico colpito da rincari delle materie prime e loro scarsa disponibilità sul mercato, allora potrebbe decidere di affrontare con decisione l’aumento dei tassi di interesse. Ma ricordo che rispetto al momento della nascita della Bce, 24 anni fa, il tasso medio di crescita dei prezzo è ancora inferiore al tasso di crescita costante registrato fino ad oggi. Certo, si potrebbe argomentare quanto sia evidente la forte crescita registrata negli ultimi mesi, ma nel medio-lungo periodo siamo ancora in una crescita gestibile. E questo potrebbe essere un argomento della Bce per evitare una nuova stretta sui tassi e personalmente vedo in modo positivo questa eventualità, anche se ritengo che invece un intervento ci sarà in caso di prolungamento del conflitto.
Quanto deve preoccupare l’evidente calo del potere d’acquisto segnato da mancato incremento degli stipendi a fronte dei rincari arrivati ormai ai clienti finali soprattutto per quanto riguarda i beni alimentari?
Il calo del potere d’acquisto c’è ma bisogna però registrare la decisione del Governo di utilizzare il debito pubblico a sostegno delle famiglie attraverso il nuovo bonus da 200 euro e gli sconti in bolletta, iniziative finanziate attraverso l’imposizione di nuove imposte a determinati settori o con nuovo debito pubblico, allo scopo di calmierare gli effetti dei rincari sugli stipendi. Quindi per quanto riguarda il problema dei prezzi vedo da un lato una Bce attendista e un Governo italiano interventista, che sia criticabile o meno tale posizione.
Lei la condivide, in particolare per gli strumenti messi in campo anche con l’ultimo decreto del Governo?
Mario Draghi ha sempre potuto utilizzare il debito pubblico e lo ha sempre fatto. Nel merito non condivido molto l’impostazione data agli ultimi interventi, perché se è pur vero che c’è necessità di affrontare l’emergenza è altrettanto vero che si sta andando avanti a colpi di decreti e strumenti emergenziali anti crisi senza che sia tracciato un sentiero di lungo periodo che dia un senso compiuto a questi interventi. Ma non sto vedendo niente del genere. Sappiamo che in sottofondo c’è il Pnrr, grossa scommessa per questo Governo e per quelli che seguiranno, anche se in proposito mi sarei aspettato di più rispetto a stime di crescita che alla fine del periodo di utilizzo dei 250miliardi di euro di Pnrr segnano una previsione del +2%. A fronte di un tale impegno economico mi sembra un risultato modesto, tantopiù che dopo la prima crisi del 2008-2009 c’erano previsioni di crescita che andavano ben oltre il 2% stimato per il Recovery Fund italiano.
© RIPRODUZIONE RISERVATA