Metamorfosi dei mercati. «Globalizzazione finita, strategie da ripensare»

L'analisi Novarese, presidente di Saati, azienda tessile hi-tech di Appiano «Sta accelerando la ri-localizzazione. Vanno diversificate le fonti di risorse»

«L’Europa è un vaso di coccio tra vasi di ferro» è l’osservazione di Alberto Novarese, presidente di Saati, azienda tessile ad alta tecnologia di Appiano Gentile presente sui mercati internazionali per forniture relative anche a strumentazioni di alto valore strategico.

«L’Europa manca di identità e ci sentiamo più vulnerabili»

«La fine della globalizzazione implica che le grandi nazioni stanno iniziando a pensare in modo più autonomo. Di conseguenza, la libera circolazione delle merci, come l’abbiamo conosciuta fino ad ora, non esiste più. Questo porta a una ristrutturazione delle catene del valore e delle supply chain – è la premessa dell’analisi di Alberto Novarese circa la trasformazione in atto dei mercati – appartiene al passato l’idea che la Cina possa essere la fabbrica del mondo dove produrre per rivendere nei mercati occidentali dove il reddito medio è più alto». Oggi la logica di produzione in Cina per l’esportazione globale è sempre meno sostenibile, specialmente in ambito tecnologico e nelle questioni strategiche.

Punto di svolta è stato il 2020, ma il fenomeno del reshoring subisce una accelerazione con l’elezione del presidente Trump e la sua strategia “America First”. Oggi e aziende che avevano delocalizzato le produzioni tendono a riportare i loro processi produttivi nel paese di origine o almeno in aree più vicine, sia in termini geografici che politici.

«Ogni Paese cerca di proteggere il proprio know how»

«È probabile che, in particolare nel settore tecnologico, molta della produzione di componenti strategiche torni negli Stati Uniti, per evitare di lasciare tecnologia in paesi considerati ostili – aggiunge i presidente di Saati - le aziende ora devono più che mai considerare la diversificazione delle linee di approvvigionamento. Avere una singola linea di approvvigionamento è ritenuto molto rischioso; è necessario disporre di più opzioni. Questo richiede un riadattamento delle logiche aziendali in un contesto politico in evoluzione e naturalmente maggiori costi».

Le alternative alla Cina

Nel caso della Saati, che produce componenti tessili per l’ambito medicale e per particolari strumentazioni, il cambio di clima politico e la fine della globalizzazione comporta anche una maggiore attenzione alla localizzazione della produzione di materiali sensibili.

Se da una parte alcuni Paesi clienti manifestano la preferenza a non avere produzione in Cina ed è necessario trovare fornitori alternativi, dall’altra parte la Cina stessa ha un mercato interno promettente, ritenuto il mercato del futuro per la sua vasta classe media. Si tratta quindi di una transizione molto complessa. Se la Cina sta adottando una posizione protezionista, anche gli Stati Uniti, sebbene in misura minore, seguono un modello simile. Ogni Paese sta cercando di proteggere il proprio know-how, limitando così il trasferimento tecnologico nel futuro. La situazione geopolitica evidenzia che sempre più i segreti di produzione saranno conservati all’interno dei blocchi economici ed è interessante notare come la tecnologia, sviluppata dalle aziende ad alta intensità di ricerca, sia diventata uno strumento politico.

«Come Saati stiamo anche esplorando nuove fonti di produzione e valutando opzioni come il Vietnam, la Cambogia e certamente l’India – prosegue Alberto Novarese - tuttavia, la messa in opera di queste decisioni richiede anni, rendendo il processo complesso e delicato in un quadro complessivo molto incerto».

In tutto questo l’Europa è l’anello debole nei legami internazionali: preoccupata da una parte per la sua irrilevanza nello scenario politico globale, dall’altra per la crisi economica e anche politica che ha investito la Germania e in parte anche la Francia.

«Questo dimostra la fragilità di un’unione di Paesi dove da una parte la dipendenza dalle scelte degli Stati Uniti lascia impreparati a gestire in autonomia le proprie politiche economiche, dall’altra il protagonismo esercitato da Germania e Francia per anni ora ricade in termini negativi su tutta l’Europa - puntualizza Alberto Novarese – la percezione è che gli europei si sentono vulnerabili non tanto per le azioni di Trump, quanto per la mancanza di un’identità di Unione europea e questa latitanza di potere decisionale indipendente è emersa anche durante l’amministrazione Biden».

Bruxelles avrebbe quindi perso tempo: un apparato burocratico involuto su se stesso ha interpretato le indicazioni della politica in modo estensivo e soffocante, producendo una serie di norme che avevano il loro senso solo in una visione ristretta e ideologica della realtà.

«Ora si trova impreparata sia sul fronte tecnologico che militare. La debolezza dell’Europa è il risultato di una proclamazione unilaterale della pace senza un collocamento adeguato rispetto ai Paesi circostanti – conclude Novarese - abbiamo disarmato la ricerca militare proprio mentre gli Stati Uniti hanno deciso che non possono più prendersi cura dell’intero mondo e hanno già minacciato di ridurre il loro impegno nei confronti dell’Europa. Ora si tratta di capire se saremo in grado di compiere il salto verso l’autonomia e l’affrancamento dagli Usa».

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