«Sfida Case green: si può fare incentivi mirati e duraturi»

Manuel Castoldi, presidente di Rete Irene, analizza l’impatto sul patrimonio immobiliare della Direttiva Ue. «Va riorganizzato un serio sistema di bonus, indispensabile tornare a prevedere la cessione del credito»

Entro il 2050 tutto il patrimonio edilizio esistente dovrà raggiungere lo standard zero-emissioni secondo la Direttiva dell’Ue sulle Case Green, in approvazione a metà marzo. Per raggiungere l’obiettivo, Rete Irene, con Assocond, ha proposto una riorganizzazione dei bonus edilizi, come ha spiegato il presidente della società Manuel Castoldi, primo passo di un percorso lungo, costoso, ambizioso.

È realisticamente possibile fare in modo che nessuna abitazione consumi gas o combustibile fossile entro 26 anni?

La Direttiva europea ha imposto ai Paesi membri, quindi anche all’Italia, di ridurre il consumo medio di energia del proprio patrimonio residenziale a partire dal 2020. Da questo anno è partito il calcolo per stabilire gli obiettivi imposti dalla normativa che devono essere raggiunti entro il 2050, quando tutto lo stock abitativo dovrà essere a zero emissioni. Si tratta di un traguardo molto sfidante, ma non impossibile.

A quali condizioni?

È importante disporre di strumenti finanziari e incentivi per sostenere le famiglie e gli investimenti in rinnovamento energetico, ma attualmente manca una chiara presa di posizione da parte del legislatore. Mentre altri paesi europei come la Germania hanno iniziato a programmare interventi fin dal 1989, l’Italia sembra avere una visione strategica a medio e lungo termine più limitata. È necessario agire rapidamente, già nei prossimi mesi, per mettere in atto le misure necessarie per raggiungere gli obiettivi stabiliti.

La Direttiva di prossima approvazione è più conciliante rispetto alla prima versione: questo consente di avere più tempo per attuare la transizione?

No, ma consente di farlo per gradi successivi, purché si inizi subito avviando strumenti che possono raggiungere gli obiettivi intermedi. Sono previste infatti varie riduzioni percentuali, come la riduzione del 16% entro il 2030: sembra una percentuale limitata ma che richiede comunque un lavoro enorme.

La Energy Performance of Buildings Directive attesa per marzo lascia ai paesi membri la scelta delle azioni da intraprendere per ridurre il consumo medio. Di conseguenza, spetta all’Italia decidere dove intervenire e su quali edifici, sia privati che pubblici, investire per raggiungere gli obiettivi entro i prossimi 10 anni. Ci sono infatti passaggi intermedi, ma se non si raggiungono il Paese incorre in infrazioni anche piuttosto pesanti.

C’è quindi un’ampia discrezionalità lasciata ai singoli Governi, inclusa la tipologia di edifici?

Sì, potranno essere esclusi molti immobili e saranno i singoli paesi a decidere quali. Per l’Italia potrebbero essere esentati tutti gli edifici oggetto di vincoli artistici, storici e paesaggistici, quelli religiosi, quelli destinati a uso agricolo, le seconde case utilizzate per meno di quattro mesi all’anno. In questo caso si aprirà il quesito circa gli appartamenti utilizzati per le vacanze ma all’interno di condomini abitati anche tutto l’anno. E poi ancora sono esentati gli edifici autonomi con una superficie inferiore ai 50 metri quadrati e quelli delle forze armate. Sono esclusioni che ricadranno su milioni di immobili. Significa che se eliminiamo dalla media nazionale un patrimonio così ingente, per raggiungere gli obiettivi l’Italia dovrà intervenire in modo molto importante su tutti gli altri per compensare.

Quali in particolare?

Probabilmente gli edifici in classe F e G, le ultime due classi energetiche, saranno i primi su cui si chiederà di intervenire e costituiscono, con la classe E, circa i 2/3 del patrimonio immobiliare italiano.

Stiamo parlando per le due ultime classi del 52% delle case e se si includono tutte e tre le ultime classi energetiche la percentuale sale al 68% del patrimonio nazionale. Un dato omogeneo anche per la provincia di Como. Se si eliminano quindi tutti gli immobili che possono essere esentati, restano le case costruite negli anni Sessanta e Settanta, i condomini delle periferie urbane dove non si è mai messo mano prima.

Le abitazioni delle famiglie magari con meno disponibilità economiche e proprio loro rischiano che il loro investimento più importante, la casa, perda rapidamente valore di mercato. Ecco perché gli incentivi sono necessari e urgenti.

Qual è il rischio di non effettuare i lavori necessari a rendere le case a zero emissioni?

Oltre alle eventuali sanzioni, il vero pericolo, che già si sta verificando, è proprio la perdita di valore degli immobili. Il mercato è influenzato dalla domanda e dall’offerta e la qualità energetica degli edifici incide notevolmente sul loro valore patrimoniale. Sempre di più il nuovo in classe A o le abitazioni che sono state adeguatamente ristrutturate mantengono i prezzi al metro quadro con tendenza all’aumento. Al contrario perdono attrattiva le case che non hanno ricevuto manutenzione: chi si avvicina a un acquisto oggi sa che da qui a pochi anni dovrà poi investire ancora per l’efficientamento energetico. In questo momento chi cerca un’abitazione non guarda solo ai pavimenti o ai bagni, ma prima di tutto alle condizioni degli impianti e allo stato complessivo dell’edificio, per capire quali interventi saranno necessari e con quali costi.

Per non far perdere valore agli immobili e aiutare le famiglie a sostenere i costi delle opere servono quindi strumenti fiscali ed economici: quali in particolare?

Il valore degli incentivi deve essere chiaro e devono essere disponibili rapidamente per consentire alle famiglie di investire nell’efficienza energetica.

Oltre a riorganizzare rapidamente un serio sistema di bonus fiscali sul lungo periodo, come proponiamo, sarà indispensabile tornare a prevedere la cessione del credito, per sopperire alla mancanza di capitali delle famiglie.

L’esperienza dei bonus, in particolare del 110%, non è stata incoraggiante, non è difficile immaginare un ritorno in tempi così brevi?

È importante rivedere le esperienze passate e affrontare le criticità emerse negli ultimi anni, fornendo formazione e supporto alle imprese edili e adottando sanzioni severe per chi viola le normative. La formazione professionale è essenziale per garantire la qualità degli interventi e la conformità alle regole.

Un grave difetto del quadro normativo degli ultimi anni è stato il continuo mutamento cui sono stati sottoposti i meccanismi di incentivazione all’efficienza energetica. Revisioni che sono state motivate dalla crescita impetuosa degli interventi attivati, ma che hanno creato incertezza negli operatori e sfiducia nella popolazione sull’affidabilità dell’intervento pubblico.

Nella nostra visione, presentata con Assocond Conafi al Klimahouse , gli incentivi per la riqualificazione degli edifici non devono essere un’elargizione “a pioggia”, ma piuttosto un investimento pubblico mirato in settori strategici specifici e volto a conseguire il maggior ritorno in relazione alla spesa incentivata. Per essere efficienti gli incentivi dovranno essere anche efficaci e i decisori dovrebbero considerare alcuni elementi essenziali per costruire un sistema di incentivazione duraturo, almeno per dieci anni o meglio fino alla data del 2050

A giugno le elezioni europee potrebbero condizionare la road map per il Green Deal e quindi modificare gli obiettivi di decarbonizzazione anche per le case?

Le elezioni potrebbero influenzare il percorso normativo, ma la Direttiva del prossimo marzo sarà già stata pubblicata e deliberata, rendendo improbabile un cambiamento repentino. Inoltre, l’Europa è coinvolta in questa sfida, non solo l’Italia, e il punto di vista di altri paesi con un panorama immobiliare molto diverso e un percorso di efficientamento energetico in atto da tempo è del tutto differente dal nostro.

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