Accuse di “caporalato” nella casa di riposo: «Condannate i gestori»

Pianello del Lario Le richiesta della procura durante il processo. Il blitz dei carabinieri risale a sei anni fa

Sono arrivate ieri mattina le richieste di condanna della Procura di Como, per voce del pm Giampaolo Moscatelli, nell’ambito del fascicolo penale per caporalato che aveva riguardato la casa di riposo di Pianello del Lario denominata “La Nuova Famiglia”, visitata nell’ormai lontano 21 giugno 2018 dai carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro.

Secondo quello che i militari dell’Arma rilevarono nel corso del blitz, eseguito dopo aver ricevuto una denuncia da parte di un lavoratore peruviano che riferiva di ore di prestazioni non retribuite e di condizioni difficili all’interno della residenza per anziani, nella struttura erano presenti almeno dieci anziani che qui vivevano (solo due autosufficienti) accuditi da lavoratori che per la procura erano in parte clandestini e comunque assoggettati ad orari di lavoro impossibili, sei giorni su sette 24 ore su 24.

La pubblica accusa, al termine delle proprie conclusioni in un fascicolo processuale travagliato, passato da una lunga indagine e anche da un cambio di giudice, ha chiesto la condanna dei due principali imputati a 4 anni a testa. Si tratta di chi, sempre secondo la procura, gestiva la struttura di Pianello del Lario, ovvero Enrico Fontana (nato a Como, 64 anni) e Gladys Esther Champi Huajardo, 56 anni, peruviana residente a Pianello del Lario. Sempre il pm presente in udienza, nel processo che si sta svolgendo di fronte al giudice Daniela Failoni, ha anche chiesto la condanna ad otto mesi per Giacomo Fontana (57 anni), accusato però solo di violenza privata per un episodio successivo al blitz del Nil.

Ma ieri in aula hanno parlato anche le difese negando su tutta la linea quelle che erano state le accuse della procura. «In questa storia non ci fu alcun reclutamento e nessuna costrizione – hanno concluso i legali – Questi reati sono stati più teorizzati che documentati. Ricevevano tutti i loro stipendi, anche in anticipo, avevano potere di contrattazione visto che chiesero ed ottennero un aumento, gli ospiti della struttura spesso erano locatari o proprietari, non ci furono insomma condotte abusanti visto che abbiamo sentito in aula che chi accusa poteva poi andare a feste, fare gite, facendo insomma quello che volevano».

Una richiesta di assoluzione che (al pari di quella di condanna dell’accusa) attende ora il vaglio del giudice dopo il rinvio alla metà di ottobre. Quel giorno, a più di sei anni di distanza da quando questa vicenda venne a galla, si potrà scrivere la parola fine quantomeno al primo grado di giudizio. Le accuse di questo fascicolo parlavano di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, unita ad una lunga serie di presunte inadempienze lavorative e all’aver compiuto «attività diretta a favorire la permanenza a scopo si lucro» dei lavoratori irregolari peruviani sul territorio nazionale.

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