Delitto di Catasco, non è un caso chiuso

Garzeno Nonostante la confessione del trapper di 17 anni, continuano le indagini sull’uccisione di Candido Montini . Gli investigatori vogliono esaminare le immagini di un’altra telecamera, per verificare se qualcuno lo ha aiutato

Una nuova telecamera da visionare. Ulteriori immagini da aggiungere a quanto già in possesso dei carabinieri dell’Investigativo del Comando provinciale di Como. Perché, anche dopo la confessione del minore di Catasco di Garzeno, 17 anni, che compirà la maggiore età a gennaio, le indagini non si fermano ma proseguono con ulteriore spinta, corroborate da quel fondamentale punto fermo che è stato posto, ovvero l’ammissione di responsabilità sulle coltellate (28 quelle riscontrate) inferte al povero Candido Montini.

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Tecnici al lavoro

Sì, perché da quanto è stato possibile ricostruire, nelle mani dei carabinieri sarebbero finite le riprese di una terza telecamere oltre alle due che già si conoscevano, immagini poste a nord rispetto sia alla casa della vittima sia a dove abitava il minore, a pochi passi l’una dall’altra. I frame non sono ancora stati analizzati ma l’attività sarà affidata la prossima settimana ad un tecnico informatico che ne estrapolerà eventuali passaggi importanti, per ricostruire ulteriormente l’accaduto.

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Ricordiamo che la prima telecamera recuperata dai carabinieri, vicina al punto dell’omicidio e quindi alla casa di Montini, non si era rivelata utile in quanto puntata in una direzione diversa rispetto alla via di fuga. Una seconda telecamera era invece stata utile per monitorare gli spostamenti dell’auto della famiglia in direzione di Dongo, per sconfessare quelle che erano state le prime difese affidate ad un alibi che poi non ha retto, quello che il minore nelle ore del delitto fosse in realtà nel paese affacciato sul lago per prendere parte ad una lezione di scuola guida. Ora, spunta questo terzo occhio elettronico di cui fino alle scorse ore non si conosceva l’esistenza e che, nella speranza degli inquirenti, potrebbe fornire un ulteriore riscontro al quadro che piano piano si è venuto a delineare.

Perché occorre sottolineare subito che la confessione del diciassettenne, fatta nella giornata di venerdì di fronte al giudice che lo stava interrogando per la convalida del fermo – poi diventato misura di custodia in carcere – non ha affatto fermato le indagini che, al contrario, dopo aver fissato questo importante tassello ora sono di nuovo ripartite da capo, per costruire il quadro attorno all’accaduto, riscontrando le ammissioni del giovane e valutando anche i suoi spostamenti prima e soprattutto dopo il delitto.

Anche per questo, le ulteriori immagini ora in possesso dei carabinieri, potrebbero svolgere un ruolo importante. Come pure un ruolo potrebbero giocarlo anche nello scoprire eventuali aiuti avuti dal ragazzo, anche se ad oggi non esiste un solo elemento – sia in casa della vittima, sia nei dintorni – che porti a ritenere presenti altre persone sul luogo del delitto in concomitanza con le coltellate mortali inferte a Candido Montini.

L’arma

Ad incastrare il minore erano state le tracce di Dna a lui appartenenti – repertare con l’assenso dei genitori – trovate sull’arma del delitto che era stata abbandonata su una tettoia lungo la via di fuga dalla casa della vittima a quella del giovane, che distano poche decine di metri.

Ma tracce erano state trovate anche sul cancello sia interno che esterno del vialetto che porta sulla scena del crimine e sul corrimano delle scale all’esterno della casa. Il riscontro dai Ris era arrivato nella serata di domenica e lunedì mattina il ragazzo era stato prelevato da casa e, con papà e mamma, portato in caserma a Como. Non aveva parlato, né ai carabinieri né al pm della procura per i Minori. Almeno fino a venerdì mattina quando il silenzio è stato squarciato dalla sua confessione.

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