
Cronaca / Lago e valli
Mercoledì 05 Marzo 2025
Gravedona: «Ecco perché Riella è colpevole di quella rapina»
La corte di Cassazione ha confermato la condanna per l’assalto a due pensionati nel 2021.L’uomo si era sempre professato innocente, fino all’evasione durante una visita al cimitero
C’è una «perfetta convergenza scientifica delle prove» raccolte dalla pubblica accusa, con risultati «che sono da ritenere certi». Per questo motivo il ricorso in Cassazione è da ritenere «inammissibile per motivi manifestamente infondati».
Con queste parole che non lasciano spazio ad alcun dubbio, i giudici romani hanno motivato la decisione di chiudere il caso della rapina avvenuta a Consiglio di Rumo ai danni di due anziani signori che, all’epoca dei fatti (era il 15 ottobre 2021) avevano 88 (la moglie) e 91 anni (il marito).
Nell’occhio del ciclone per quella brutale aggressione avvenuta in casa, sotto la minaccia di un coltellaccio (il bottino era stato di 700 euro), era finito Massimo Riella, 51 anni di Gravedona ed Uniti. E quella rapina pluriaggravata era stata anche l’origine di tutto, ovvero della intricata vicenda che aveva portato il nome di Riella sulle prime pagine dei giornali nazionali. L’uomo era infatti evaso il modo clamoroso nel corso di una visita al cimitero dove era sepolta la madre, nel piccolo cimitero di Brenzio. Per questo motivo, tutta Italia aveva iniziato a parlare di lui fin quando era stato intercettato e arrestato in Montenegro.
I precedenti verdetti
Riella aveva rivendicato la propria innocenza e – a suo dire – quella clamorosa evasione era stata escogitata proprio per dimostrare, fornendo elementi (che per la verità non sono mai arrivati) a supporto della propria innocenza. Riella era stato condannato sia in primo grado a Como, sia in Appello a Milano, seppur con una lieve diminuzione della pena da 9 anni a 8 anni.
Ma la Cassazione, come detto, ha chiuso definitivamente il caso con giudizi molto netti su una vicenda su cui non ci sarebbero dubbi. Anzi, per i giudici romani, i nove motivi di ricorso presentati dalla difesa avrebbero teso «ad offuscare nella ricostruzione il peso decisivo di alcuni dati processuali».
Tra questi quello ritenuto fondamentale è stata la prova del Dna di Riella trovato sulla mannaia che il rapinatore al termine del colpo aveva dimenticato in casa: «Le due vittime della rapina parlarono subito di un grosso coltello impugnato dal malvivente – dicono i giudici della Cassazione – e su quel grosso coltello furono trovate tracce di Dna dell’imputato. C’erano altre tracce, ma non è vero che erano attribuibili a soggetti ignoti ma alle due vittime». I risultati insomma, per i giudici romani sono «certi».
La difesa aveva anche chiesto una differente valutazione delle tracce ematiche, con parametri diversi, ma «anche in questo caso i risultati sarebbero stati certi e sfavorevoli all’imputato».
Un secondo elemento è stato poi messo sul banco dalla Cassazione, ed è lo zaino trovato in uno stabile abbandonato ma usato da Riella, in cui – in una intercapedine nel muro – era emerso proprio lo zaino con dentro una torcia frontale, un pile verde e un passamontagna. Su quel pile vennero anche trovare tracce delle vittime, fornendo dunque «una perfetta convergenza scientifica delle due prove». Tra l’altro, viene fatto notare in conclusione, anche la telecamera che riprese Riella vicino alla casa delle vittime l’aveva immortalato con uno zaino e una torcia frontale, proprio come quella ritrovata nel cascinale.
Insomma, per i giudici romani non ci sarebbero dubbi sulle responsabilità dell’uomo di Gravedona ed Uniti, da qui il respingimento del ricorso.
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