
Cronaca / Lago e valli
Giovedì 06 Marzo 2025
Operaio morto, la Cassazione conferma quattro condanne
San Nazzaro Erano accusati di omicidio colposo, l’incidente sul lavoro nel 2018 Confermata la sentenza per i quattro indagati che erano accusati di omicidio colposo
La motivazione dei giudici è «ampiamente supportata da prove testimoniali e documentali». L’area dove morì il povero Zyber Curri, 48 anni, precipitato per metri nel torrente Cuccio nell’ambito dei lavori della Centrale Idroelettrica che erano in corso a San Nazzaro in Val Cavargna, «era utilizzata da operai e non presentava misure utili a limitare infortuni o cadute», e questo perché i responsabili di quel cantiere non ne avevano «vietato la fruizione» anche solo come via di passaggio. Una stradina ghiacciata, pericolosa, in cui avvenne la tragedia.
Con queste motivazioni la Corte di Cassazione ha chiuso definitivamente – respingendo gli ultimi ricorsi degli avvocati degli imputati – la drammatica vicenda nella caduta nel vuoto del povero operaio residente nel Bresciano che aveva perso la vita il 12 dicembre del 2018 mentre a casa ad attenderlo c’erano la moglie e quattro figli. C’erano voluti quasi quattro anni per arrivare ad individuare quattro indagati che erano stati condannati dal giudice delle udienze preliminari di Como, Carlo Cecchetti con il rito abbreviato. L’accusa era stata di omicidio colposo.
Livio Belottini, 70 anni di Ponte in Valtellina, consulente esterno preposto alla sicurezza sul lavoro della Edilnova srl, aveva rimediato 2 anni e 8 mesi; due anni di carcere a Carlo Graneroli, 55 anni di Tirano, coordinatore dei lavori; un anno e otto mesi la pena inflitta a Gabriele Andreoli, 41 anni di Teglio, amministratore della Costruzioni Andreoli srl; infine 1 anno e 4 mesi a Maria Teresa Belottini, 64 anni di Teglio, amministratore unico della Edilnova.
Una indagine molto complicata, in cui era stato difficile anche solo ricostruire per chi lavorasse la vittima. Ora però, sei anni dopo, il caso è definitivamente chiuso e le condanne sono diventate definitive. Secondo i giudici della Cassazione, che hanno respinto tutti i motivi di ricorso delle difese, «le motivazioni dei primo grado confermate in appello» erano state «dettagliate», palesando «una carenza strutturale del cantiere» nella zona della tragedia che avrebbe messo a rischio «qualsiasi lavoratore che vi si fosse trovato», in quanto «tutti erano esposti al rischio di caduta».
Secondo quello che era stato il capo di imputazione portato avanti dalla procura di Como, quel cantiere era particolarmente pericoloso in quelle ore viste anche le condizioni climatiche molto rigide e il ghiaccio, ma vista anche l’assenza di parapetti o di sbarramenti per proteggere l’eventuale caduta dei lavoratori. Le difese avevano invece puntato il dito contro vizi di motivazione, ma anche contro l’aver omesso di valutare prove che erano ritenute determinanti in merito alla chiusura della zona da cui l’operaio era precipitato. Per i giudici invece quell’area era «agevolmente accessibile».
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