Regina in mano all’Anas dal 1962. Sulla variante 35 anni di promesse

Una storia infinita Strada nazionalizzata il 13 aprile 1962. Nemmeno lo sblocca cantieri servì ad accorciare i tempi

La Statale Regina non si misura in chilometri, ma in decenni. Lo dice la storia della “Strada Regale” che fa parte del sistema stradale romano e ne fa parte in tutti i sensi: primo, perché l’impianto è quello di ventun secoli fa, concepito per collegare Cremona alla Baviera passando dalla Svizzera. E, secondo, perché titolare è l’Anas, ente che gestisce i collegamenti di interesse nazionale, sede centrale a Roma, compartimenti in tutte le Regioni.

E lo dice la storia degli ultimi 62 anni: proprio il 13 aprile 1962, la Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana pubblicò il decreto che “nazionalizzava” i 50 chilometri da Como a Menaggio e li chiamava “ SS strada statale Regina 340 dir” e i 29 chilometri da Menaggio ad Oria Valsolda, SS Statale Regina 340. Non più tratti provinciali o comunali, ma statali, cioè di lungo collegamento, benchè la “Regina” sia più o meno strada urbana.

Fatto sta che l’Anas si mise subito d’impegno e in cinque-sei anni realizzò la variante a mezza costa di Torriggia e così tutti pensarono che la statalizzazione avesse attirato l’attenzione di Roma sulla “cenerentola” della provincia di Como, la sponda nord occidentale di lago e valli. Non che le altre zone stessero meglio, tant’è che dal 1966 si parla di pedemontana e di tangenziale di Como. Ma da Como a Gera Lario e al confine di Stato di Oria c’è una sola strada, c’è un solo sistema per andare e venire dal mondo, per servire l’economia, la popolazione, il presente e il futuro.

Macché: cinque decenni e mezzo dopo, la “Regina” piange e i si ribella. Ancora una volta, un cantiere è fermo ed è quello della variante della Tremezzina e se ne parla dal 1988. Ma è sempre stato così: ogni infrastruttura sulla statale 340 e diramazione impiega in media vent’anni dalla progettazione all’inaugurazione.

Non è vero che non sia stato fatto niente, in tutti questi anni: sono state realizzate le varianti di Cernobbio, Brienno, Dongo, Menaggio, Porlezza, Valsolda e il sottopasso di Gera Lario, un investimento totale di 500 milioni di euro, secondo un calcolo approssimativo fatto in occasione dell’inaugurazione della variante di Oria-Cressogno, dodici anni fa. Una storia beffa, fu chiamata questa: siccome i lavori erano fermi in mezz’Italia, il ministro Antonio Di Pietro decretò lo “sblocca cantieri”, un commissario su ogni opera incompiuta. Com’è, come non è, neppure il commissario per Valsolda smosse in tempi ragionevoli la montagna di carte, cause, perizie, revisioni, mentre protestava il Comitato Pro Statale Regina e perfino il vescovo Alessandro Maggiolini, rimasto in coda per un’ora a Ossuccio, disse che non sapeva a che santo votarsi perché guardasse giù, vista l’inutilità di ogni intervento umano.

E quante volte di fronte a cantieri immobili, qualcuno propose lo sciopero delle tasse, trattenendole sul territorio invece di versarle allo Stato e finanziare le infrastrutture: la provincia di Como è tra le prime per gettito fiscale, ma sta a metà della media nazionale per la dotazione di infrastrutture. Non è giusto, però. «E’ giusto, però – disse uno che aveva studiato – affiggere ovunque la sentenza 13643 del 2004 della Corte di Cassazione: la sospensione dei lavori non può essere conseguenza di imperizia o negligenza della pubblica amministrazione che è tenuta per legge a verificare prima la correttezza del progetto».

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