Riella preparava la fuga in Sud America. Tradito dalle telefonate con l’Italia per ordinare un documento falso

Gravedona L’evaso catturato in Montenegro dopo quattro mesi di latitanza era a casa di un ex detenuto conosciuto al Bassone. Oltre confine su un camion e in bici

Si è conclusa l’altroieri in una casa nel sud del Montenegro, non lontano dalla capitale Podgorica, la latitanza di Massimo “Petit” Riella, 48 anni, il detenuto in attesa di giudizio che lo scorso 12 marzo era riuscito a evadere fuggendo agli agenti della penitenziaria che gli facevano da scorta durante un permesso speciale, ottenuto per salire fino a Brenzio - sopra Gravedona - per pregare sulla tomba della madre. Riella è stato arrestato nella casa dell’amico che lo aveva accolto, forse un compagno di detenzione, un montenegrino con il quale, in passato, doveva avere condiviso già un po’ di carcere al Bassone. L’arresto si deve alla lunga indagine condotta dal Nucleo investigativo della Polizia penitenziaria e dei carabinieri del nucleo investigativo di Menaggio, che lo avevano già “agganciato” verso la fine di giugno, individuandolo nei Balcani, prima proprio in Montenegro, poi in Serbia, poi di nuovo in Montenegro.

Ci sono ancora un sacco di domande a cui rispondere, che non riguardano soltanto i legami e gli appoggi che questo bracconiere dal carattere fumantino ha senz’altro sfruttato quando, a suo tempo, si trattò di nascondersi nei boschi.

Non è chiaro, per esempio, come abbia raggiunto i Balcani, se sia vero, come emergerebbe da alcune intercettazioni, che si sia mosso prima a bordo di un camion, poi forse in sella a una bicicletta e poi addirittura a piedi, sfruttando quelle stesse gambe snelle e nervose che gli avevano consentito di bruciare i poliziotti che quel 13 marzo acconsentirono a liberargli le mani giunte in preghiera, sfilandogli le manette.

Colpito da un mandato di cattura internazionale firmato pochi giorni or sono da Carlo Cecchetti, giudice per le indagini preliminari del tribunale di Como, Riella voleva probabilmente proseguire il suo viaggio alla volta del sud o del centro America. Pare che cercasse una nazione priva di accordi con l’Italia, dalla quale non avrebbe potuto essere estradato, determinato com’era, e com’è, a protestarsi estraneo dall’accusa per la quale a dicembre era finito dentro, quella cioè di avere rapinato due anziani contadini di Consiglio di Rumo.

Era in attesa di un passaporto falso

Aveva il problema dei documenti: il sospetto è che se ne stesse rintanato laggiù, dalle parti di Podgorica, nell’attesa di ricevere un passaporto falso che probabilmente si stava facendo preparare in Italia, sfruttando alcuni suoi contatti personali che si perdono nelle nebbie della bassa e dell’hinterland milanese. Il piano - una volta ottenuto il documento - prevedeva il passaggio in Albania e da lì verso il Nord Africa da dove salpare, infine, alla volta dei mari del sud. Pare che lo abbia fregato la disinvoltura con cui, una volta nei Balcani, il “Petit” ha ripreso a usare un telefono per coltivare i suoi contatti con l’Italia. Ora si attende soltanto l’estradizione.

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