«Violentata perché difese l’amica ubriaca dal tentativo di stupro». Gli abusi in riva al lago su due minorenni: le motivazioni delle condanne

Menaggio I giudici di Como e la sentenza sulla doppia violenza dell’agosto 2018 vicino al Lido. Il Tribunale riabilita una delle vittime: la sola a non aver abbandonato la compagna ubriaca

«… Io e le altre due amiche ci vediamo ancora, con Sofia (nome di fantasia ndr) abbiamo, avevamo almeno per me, tagliato tutti i rapporti… perché ero arrabbiata con lei per il fatto che è come se mi avesse abbandonata. Però non sapevo ancora cosa le fosse successo: quando sono venuta a scoprirlo ho avuto tantissimi sensi di colpa per non esserle stata vicino…».

A parlare è una delle ragazze che hanno denunciato di essere state violentate da quattro giovani, nell’estate di quattro anni fa in riva al lago a Menaggio. La sua voce emerge dalle motivazioni della sentenza di condanna a tre di quei ragazzi (per il quarto i giudici hanno mandato gli atti in Procura perché venga indagato), motivazioni depositate nei giorni scorsi e che offrono un retroscena clamoroso e struggente a una vicenda umanamente devastante: una delle due ragazzine abusate (secondo la sentenza), quella da cui le altre amiche si sono abbandonate perché a loro giudizio avrebbe abbandonato a se stessa la compagna di sventura (annebbiata dai fumi dell’alcol), sarebbe invece stata violentata brutalmente proprio per aver cercato di difendere l’amica ubriaca.

Spiaggia a ridosso del Lido di Menaggio. 8 agosto 2018. Per i giudici non c’è dubbio alcuno: quella notte lì andò in scena uno stupro di gruppo. Lì, quella notte, due ragazze minorenni furono vittime di «un’azione concertata» da quattro ragazzi «tutti ben consapevoli di quello che stavano facendo» e che «avevano deciso di portare le due prede, contro la loro volontà presso un luogo appartato che ben conoscevano (perché era il loro luogo di lavoro) con l’evidente e comune scopo di soddisfare i loro appetiti sessuali, dirigendo le loro attenzioni in modo indiscriminato nei confronti dell’una piuttosto che dell’altra preda».

Le due giovani sono salite sull’auto dei quattro ragazzi non per andare al lido, ma convinte che le avrebbero riportate a casa

La sentenza ripercorre tutta la storia, in un crescendo straziante. Racconta dell’incontro delle quattro amiche, nella loro ultima sera di vacanza sul lago, con quattro giovani: Gheorghe Rotaru, 24 anni (latitante), Nicholas Pedrotti, 25 anni di Chiesa in Valmalenco, Emanuel Dedaj (il primo condannato a 8 anni, gli altri a sette anni ciascuno) e Zinabu Muratore, 26 anni di Claino con Osteno (per il quale il caso è stato riaperto). Al bar una delle ragazze si ubriaca. A stento resta in piedi. I maschi provano a convincere le ragazze a seguirli al lido. Loro rifiutano. Due amiche se ne vanno a piedi, lasciando lì Sofia con Greta (altro nome di fantasia), che per l’alcol fatica a camminare e pure a parlare. Hanno bisogno di un passaggio per tornare a casa: «Salgono sull’auto di Muratore convinte di poter essere riaccompagnate».

E invece l’auto va altrove. Arriva al Lido. E qui vanno in scena gli abusi: lo stupro vero e proprio ai danni di Sofia, che più volte dirà a un amico di sentirsi sporca per essere stata abusata in modo spiegato, e di Greta.

«Sofia - scrivono i giudici - più che concentrare la sua attenzione e la sua rabbia su chi ha abusato di lei, ha continuato a colpevolizzarsi per avere accettato il passaggio, per essersi fidata»

Ciò che impressiona di più, nella lettura della sentenza al di là degli abusi contestati e costati le tre condanne, è il risvolto umano. La frattura che si è creata all’interno di ognuna delle due ragazze e poi nella spaccatura tra di loro, la fine dell’amicizia. «Sofia - scrivono i giudici - più che concentrare la sua attenzione e la sua rabbia su chi ha abusato di lei, ha continuato a colpevolizzarsi per avere accettato il passaggio, per essersi fidata».

Ma la sentenza restituisce a questa ragazza ciò che le è stato scippato dai quattro ragazzi prima - nella lettura dei giudici di Como - e dalle amiche poi: «Sofia fin dall’inizio della serata ha mostrato con generosità di essere l’unica a voler essere di supporto per l’amica perché si era resa conto che era in condizioni psico fisiche assai precarie. E per proteggerla (visto che le altre due amiche avevano dichiarato che se ne sarebbero andate a casa a piedi pur avendo percepito i rischi che la loro amica avrebbe corso) non ha voluto lasciarla sola quando, in preda ai fumi dell’alcol, non rendendosi neppure conto di cosa stesse facendo, si è letteralmente sdraiata sull’auto dei suoi aguzzini perché convinta che l’avrebbero portata a casa: ha cercato, poi, di proteggerla mentre erano al Lido, ed è intervenuta quando nella parte finale della serata si è resa conto che addirittura due degli imputati stavano abusando di lei contestualmente, incurante del rischio che avrebbe potuto correre e pagandone care le conseguenze. È, infatti, proprio a cagione del suo intervento a sostegno dell’amica che Sofia viene aggredita ancora più brutalmente da Gheorghe che, abbandona Greta e si avventa su di lei».

«Un reato commesso con particolare violenza ai danni di due minorenni e vicino quasi alla premeditazione»

Il primo a cui confida l’accaduto, la sera stessa, è un amico, che ai giudici «racconta che l’amica stava male, si sentiva sporca e che aveva dovuto intervenire per impedirle di gettarsi nel lago perché più volte aveva tentato di farlo». Eppure per mesi, se non per anni, proprio Sofia si è sentita come sul banco degli imputati. Accusata dalle amiche. Accusata dai suoi (presunti fino a sentenza passata in giudicato) violentatori, che nei mesi successivi saranno sentiti conversare tra loro parlando del «rapporto con l’altro sesso in termini di mera strumentalità» che «rivela gli stereotipi culturali di cui tutti dimostrano di essere preda quando parlano del loro rapporto con le donne, sempre apostrofate con appellativi volgari, e sempre vissute solo ed unicamente come mezzo per la soddisfazione dei loro istinti sessuali, e mai come persone con le quali instaurare una vera relazione».

Nel motivare l’entità della pena, i giudici sono durissimi: «È indubbia l’estrema gravità del reato poiché commesso con particolare violenza in un progressivo crescendo che potrebbe avere avuto un epilogo ancora peggiore se Gheorghe Rotaru non avesse agito con tanta virulenza, perché commesso ai danni di più persone, peraltro minorenni, di cui una in precarie condizioni psico fisiche, perché ha cagionato danni gravi soprattutto a Sofia (come testimoniato dalla consulenza tecnica e dalle deposizioni dei genitori della ragazza), e perché commesso con un dolo particolarmente intenso (vicino quasi alla premeditazione e non frutto di un cedimento occasionale)». Il tutto di fronte a una «totale assenza di qualsiasi rivisitazione critica dell’accaduto e della totale incuranza per le gravissime conseguenze dei reati commessi che hanno segnato per sempre la vita di due persone». Due ragazze la cui vita è cambiata per sempre.

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