«Il Covid ci perseguita dopo otto mesi
Ai no vax diciamo: attenti, è un inferno»

I titolari del pub Kalinka a Uggiate Trevano: «Mesi di ospedale, portiamo ancora addosso i segni». I coniugi erano finiti ricoverati assieme soltanto due giorni prima dell’appuntamento per il vaccino

Uggiate Trevano

Nazario sarebbe anche un fiume in piena di parole, ma ogni tanto deve fermarsi per prendere respiro e scacciare quel “raspino” in gola che sembra non volerlo più abbandonare. Sono passati quasi 8 mesi da quando lui e la moglie si sono ritrovati in ospedale, con la testa avvolta dal casco per l’ossigeno, a causa del Covid. «E ancora oggi ne portiamo addosso le conseguenze».

Nazario Fiorito e la moglie Orietta Volpe sono i titolari del pub Kalinka di Uggiate Trevano. Il 26 aprile scorso sono stati portati entrambi in ambulanza al Sant’Anna perché in carenza di ossigeno per colpa del maledetto virus: «Pensi, due giorni prima dell’appuntamento per fare il vaccino. Purtroppo il Covid è stato più veloce».

Partiamo dalla fine. Ovvero da oggi: «Non sono quello di otto mesi fa», ovvero prima della malattia dice il signor Nazario. «Ho una stanchezza immensa addosso che non ho mai provato in vita mia - spiega - Poi ho una sonnolenza che non le dico: se mi siedo dieci minuti mi addormento. Ancora oggi facciamo fatica a respirare: mia moglie è costretta a tenere l’ossigeno la notte e la mia ultima tac ha confermato che i polmoni sono ancora malati. Insomma: il Covid ci si è aggrappato addosso».

L’inizio dell’incubo, che Nazario e Orietta riescono nonostante tutto ad affrontare con invidiabile ottimismo, è il 26 aprile: «Quel giorno veniamo entrambi portato via in ambulanza e veniamo ricoverati nel reparto di Medicina C del Sant’Anna, trasformato in reparto Covid - ricorda il signor Fiorito - Io sono stato dimesso il 22 giugno, quasi due mesi dopo. Mia moglie un mese prima di me».

I coniugi vengono ricoverati nella stessa stanza d’ospedale: «Me lo faccia dire perché è giusto, al Sant’Anna abbiamo trovato delle persone eccezionali, squisite. Con alcune di loro siamo diventati anche amici. Dagli inservienti agli infermieri ai medici siamo stati curati magnificamente». E nonostante questo il ricordo non è certo piacevole: «Un inferno. Dovevamo tenere il casco tutto il giorno, tranne quando mangiavamo e anche di notte lo indossavamo. Costretti a dormire a pancia in giù con il cuscino sotto lo stomaco... una sofferenza enorme mi creda».

. Questa - dice ancora il signor Nazario - non è la classica influenza: non illudetevi. Questo virus ti brucia i polmoni. Il 2 novembre l’ultima tac mi ha trovato un’insufficienza respiratoria; ancora oggi se mi sdraio sono assalito dai colpi di tosse. È come se un macigno ci fosse caduto addosso dal cielo».

Paolo Moretti

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