«Io, cacciata dal Ticino senza spiegazioni, oggi vivo al dormitorio»

La storia Lucia, 39 anni, cittadina italiana nata a Basilea - Si occupava di consulenze legali, poi la malattia, il ricovero e l’espulsione: «In Italia sono un fantasma»

Lucia è una cittadina italiana di 39 anni, nata e cresciuta a Basilea da genitori italiani. È laureata in legge, è iscritta all’Aire (l’Anagrafe degli italiani residenti all’estero) del Comune di Faloppio - dove visse prima di tornare a stabilirsi oltre confine, nel 2015 - e fino alla fine dello scorso mese di novembre abitava a Chiasso, in un appartamento in affitto. La sua è una storia strana, offuscata da parecchie ombre sulle quali ancora nessuno è riuscito a riportare la luce che servirebbe: alla fine dello scorso mese di novembre la polizia cantonale l’ha prelevata di forza dalla clinica di Sewiss, nei Grigioni, dove era ricoverata da qualche giorno per seri problemi di salute, l’ha trasferita e trattenuta in una cella di sicurezza a Mendrisio, dopodiché, 72 ore dopo, l’ha accompagnata alla frontiera, di fatto abbandonandola su un marciapiede di Ponte Chiasso. Nessuno neppure l’avvocato che la assiste, il legale Alan Melchionna, è stato fin qui in grado di comprendere a pieno le ragioni di questa cacciata, paradossale due volte, se è vero, come è vero, che - forte della sua laurea - in Svizzera Lucia aveva aperto uno studio di consulenza legale che per anni ha fornito assistenza agli stranieri che avessero voluto trasferirsi nella Confederazione. Il risultato è che senza un soldo in tasca e senza un posto in cui andare - e con seri problemi di salute, gli stessi che l’avevano costretta a quel ricovero - la protagonista di questa storia vive oggi a Como in un dormitorio dopo avere soggiornato per qualche settimana in un bed&breakfast, almeno finché le ultime risorse a disposizioni le hanno consentito di pagarlo. Oggi, Lucia rischia davvero di ritrovarsi a ingrossare le fila di quell’esercito di fantasmi che, ormai a centinaia, orbitano attorno ai dormitori e alle mense dei poveri. «Per il momento - rivela ancora il suo avvocato - nessuno ha risposto alle nostre richieste d’aiuto, non il Comune di Como né quello di Faloppio, ultima residenza italiana prima del trasferimento in Svizzera, non la corte d’Appello di Roma, che è competente per i reati eventualmente commessi ai danni di cittadini italiani all’estero. Se si esclude la Caritas (che le ha offerto un pasto caldo) nessuno ha mosso un dito, ed è questa la ragione per cui poco prima di Natale ci siamo risolti a presentare un esposto in Procura rilevando il disinteresse totale di tutte le istituzioni». Le ragioni dell’espulsione di Lucia - tutte da approfondire - sarebbero paradossalmente da ricercarsi proprio nel peggioramento delle sue condizioni di salute; rinunciando al lavoro per cause di forza maggiore, la protagonista di questa storia aveva perso anche le sue fonti di reddito, smettendo, per esempio, di pagare l’affitto, anche se in qualche misura, sulle decisioni delle autorità federali, potrebbe avere pesato anche il contenzioso in atto per il riconoscimento del suo stato di invalidità. «Per il momento - prosegue l’avvocato - non siamo ancora stati in grado di ricostruire le ragioni di questo allontanamento. Stiamo ancora aspettando di poter prendere visione delle carte». E lei? «Vivo a Como - dice -, avendo dato fondo a tutte le risorse che avevo a disposizione. Ogni giorno che passa la situazione si fa sempre più complicata. Sto in un dormitorio, e la mancanza di una residenza in Italia mi preclude parecchie possibilità, a partire da quella di una presa in carico da parte dei Servizi sociali. Avrei bisogno di cure mediche, ma anche quelle mi sono state finora precluse per lo stesso motivo... Il rimpatrio? Ero in quella clinica nei Grigioni con la prospettiva di doverci restare almeno fino a febbraio. È arrivata la polizia e mi ha comunicato che avrebbero dovuto rimpatriarmi. Ricordo di aver replicato che senza la sentenza di un giudice non avrebbero potuto procedere, ma non è bastato: “È un provvedimento amministrativo, possiamo eccome”, mi hanno risposto. Hanno buttato le mie cose in una valigia e mi hanno portato via. Oggi sono qui, in questo dormitorio, a pregare e a sperare che qualcuno mi aiuti».

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