Dalla radio ai social: “L’Ordine” speciale per i cento anni della Rai

Il 27 agosto 1924 nasceva l’Uri (Unione radiofonica italiana), antenata dell’attuale Radiotelevisione Italiana. Un’occasione per ragionare sull’evoluzione dei mass-media con la figlia di Guglielmo Marconi e altri esperti

Ben prima dell’uccellino di Twitter, rimpiazzato da Elon Musk con una molto meno iconica “X”, c’è stato l’italianissimo “Uccellino della radio”, che nel 1940 ispirò anche l’omonima canzone portata al successo da Silvana Foresi. Era un suono emesso da una scatola, una specie di grosso carillon, che serviva per scandire i programmi dell’Eiar, l’Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche che nel 1944 cedette il passo alla Rai. Entrato in auge nel 1936, ancora oggi il “cip-cip” è utilizzato per segnalare il passaggio dalle trasmissioni nazionali a quelle regionali.

«La stazione radio stamattina / vive in una grande agitazion / per un grave fatto s’indovina / sono tutti in apprension // Ingegneri, tecnici ed attori / stanno muti a udir l’annunciator / che fa appello ai radioscoltatori / con la voce scossa dal tremor // Della radio l’usignol / stamattina ha preso il vol / al suo libero cielo ha voluto ritornar...». Così recita il brano portato al successo anni dopo anche da Betty Curtis, primo di tanti successi ispirati dal rivoluzionario sistema di trasmissioni: si pensi a “Quando la radio” di Alberto Rabagliati, uscito sempre nel 1940, o a “La radio” di Eugenio Finardi, brano del 1976, che celebra la nascita delle prime radio libere.

La radio, intesa nel senso di servizio radiodiffuso per il pubblico, comincia la sua avventura in Italia cento anni fa esatti. O meglio, cento anni fa torna in Italia, visto che il suo inventore, Guglielmo Marconi, era italiano. Fu proprio lui a fondare il 27 agosto 1924 l’Uri (Unione radiofonica italiana), dopo la fase pionieristica vissuta interamente in Inghilterra, dove nel 1897 aveva brevettato la sua invenzione a Londra e nel 1920 a Chelmsford, nell’Essex, aveva inaugurato il primo servizio radiofonico regolare.

Il centenario dell’Uri ci sembra un anniversario importante, che merita un numero monografico de “L’Ordine”, non solo a scopo celebrativo, ma anche, e soprattutto, per riflettere su come i mass-media abbiano cambiato la nostra società fino ad oggi. Nel bene e nel male, naturalmente, perché nessun mezzo di comunicazione è mai cattivo in sé, ma più è potente e capillare più si presta ad essere utilizzato anche per scopi propagandistici. Non a caso il fascismo nacque e crebbe insieme alla radio. Forse per questo l’uccellino, simbolo di libertà, aveva deciso di scappare, anche se nella canzone del ’40 non si poteva dire per ragioni di censura e la fuga è attribuita al richiamo amoroso di una sua simile.

Per almeno quattro generazioni noi italiani (e non soltanto noi) siamo cresciuti con la radio e con la televisione. “Mamma Rai” è una diretta discendente dell’Uri, che nel 1927 divenne Eiar e poi, appunto, Rai dal 1944, prima acronimo di “Radio Audizioni Italiane” e poi, dal ’54, quando cominciarono le trasmissioni sul Programma Nazionale (l’odierna Rai 1), di “Radiotelevisione Italiana”.

Se l’uccellino di Twitter ha smesso di fischiettare prima del previsto, quello della radio/tv di stato non sembra arrendersi ai nuovi media. È vero che Internet, portando con sé i social network e le piattaforme di streaming, ha cambiato radicalmente il modo di approcciarsi ai mass-media, con impatti diversi tra le varie generazioni, ma sembra che la televisione, e pure la radio (magari in formato web-radio), possano ancora dire la loro. Ed essere ascoltate da un pubblico non soltanto di “vecchi nostalgici”. Ne sono convinti due autori di età assai diverse, come il massmediologo Aldo Grasso (classe 1948) e lo scrittore, nonché autore televisivo, Mattia Conti (nato nel 1989). Potrete leggere il loro pensiero, assieme a quello di altre firme autorevoli, in questo numero de “L’Ordine” da collezione, in cui troverete anche un’intervista alla figlia di Marconi.

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