Farage, Trump e Le Pen: il populismo globale

Gran Bretagna al voto con l’estrema destra di Reform Uk favorita come secondo partito nonostante promesse insostenibili per gli esperti. Scenari simili in Francia e Stati Uniti

È tornato. Dopo anni passati a fare un po’ di tutto, da piazzista online di prodotti finanziari ad aspirante “re della giungla” in programmi tipo l’Isola dei Famosi, Nigel Farage è tornato sulla scena politica. E che ritorno. Reform UK, il suo nuovo partito (da buon piazzista, Farage ama cambiare spesso i prodotti che vuol piazzare), tallona da vicino il Partito Conservatore, cioè il partito che fu, tra gli altri, di Winston Churchill e di Margaret Thatcher.

Se giovedì prossimo, data delle elezioni politiche nel Regno Unito, Reform UK dovesse superare i Tories (come alcuni sondaggi dicono), si tratterebbe di una vera rivoluzione. Non minore di quella di Brexit - non a caso, anch’essa a firma Farage, propriamente etichettato dal “New York Times” come «the most dangerous man in Britain» (l’uomo più pericoloso della Gran Bretagna). Da più di un secolo, la politica britannica è dominata dall’alternanza al governo di laburisti e conservatori. Tutti gli altri partiti contano poco o nulla, con la sola eccezione dei liberal democratici che, tra il 2010 e il 2015, formarono un governo di coalizione con i Conservatori di David Cameron. Nell’eventualità che giovedì Reform UK dovesse ottenere più seggi che i Tories (cioè i Conservatori), Farage diventerebbe “the leader of the opposition” (vista la vittoria scontata del Labour) e il suo Reform UK formerebbe il cosidetto “shadow government”, cioè una struttura di governo speculare a quella al potere, con una prelazione parlamentare sullo scrutinio delle politiche del governo.

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Una vera rivoluzione per il sistema partitico britannico. Ancor più visto che Reform UK non è un partito come gli altri. Le etichette sono le più varie: nazional populisti, populisti di destra, destra radicale, neoliberisti libertarii. Di fatto, Farage & Co sono storicamente anti-Ue e anti-immigrazione e a favore di de-regulation del mercato e riduzione generale dell’intervento statale nell’economia e nella società. Così, per esempio, durante la crisi pandemica, hanno criticato aspramente i vari lockdowns imposti dal governo.

Il contratto

Mentre tutti i partiti, in questa campagna elettorale, hanno pubblicato i loro “manifesti”, in cui hanno messo nero su bianco le politiche che adotteranno e le rispettive coperture finanziarie, Farage ha preferito usare il termine “contratto” (chissà che Berlusconi non si stia facendo una bella risata in questo momento). Il contratto è un segno aggiuntivo della distanza che Farage vuole mettere tra sé e gli altri partiti, appellandosi direttamente al popolo, con cui vuole stabilire appunto un patto. Votatemi e vi darò tutto quello che vi ho promesso. Ovvero: riduzione dei flussi migratori; respingimento e rimpatrio forzato degli immigrati irregolari; taglio delle liste di attesa per visite, cure ed esami medici; taglio del costo della bolletta energetica; taglio della spesa per la transizione energetica; taglio generalizzato delle tasse. Insomma, più soldi in tasca per tutti, frontiere e strade più sicure, migliore sistema sanitario e addio a vane e costose politiche per salvare il pianeta dal disastro ambientale.

Il problema? Le coperture finanziarie per tutte queste misure non ci sono, come certificato dall’Institute for Fiscal Studies, che regolarmente fa le pulci ai conti di tutti i partiti e governi britannici. Insomma, la coperta è corta. Ma che importa. Chi vota Reform UK, spesso piccola borghesia e working class, non si premura di leggere quello che dice l’Institute for Fiscal Studies. Questa è roba per chi ha studiato, non certo per l’elettorato populista, che spesso se ne frega di controllare i fatti o che è scettico dei fatti presentati sulla stampa cosiddetta mainstream, preferendo ad essa canali alternativi di “informazione”. Quello che conta per l’elettorato nazional populista è che il messaggio ovvero le promesse siano chiare e semplici: “Stop the boats” (con riferimento alle imbarcazioni degli immigrati nel Canale della Manica); Cut the Taxes (taglia le tasse); Take Back Control (riprendi il controllo).

Il problema del populismo è proprio questo. La riscrittura di una realtà complessa e difficile da governare (poiché richiede il coinvolgimento di molteplici attori locali, nazionali ed internazionali), in pochi e semplici messaggi, che tutti possono capire. Facili messaggi che promettono un mondo migliore, che guarda nostalgicamente più al passato (“quando si stava meglio”) che al futuro. Nella sua variante di destra, predominante nel mondo occidentale, il populismo aggiunge poi l’immigrazione come causa di tutti o quasi i mali. Sono sempre loro, gli immigrati, quelli che ci tolgono il lavoro, riducono i nostri salari, prendono il nostro posto nell’assegnazione degli alloggi popolari, o che stravolgono i nostri usi e costumi. Poco importa che poi quegli stessi immigrati siano coloro che raccolgono la frutta e verdura che noi non vogliamo più raccogliere e che fanno i figli che noi non facciamo più, contribuendo così a pagare le nostre pensioni, le nostre cure mediche e quegli alloggi popolari che vorremmo solo per noi.

Giovedì, l’“uomo più pericoloso della Gran Bretagna” rischia di fare un’altra grande piazzata. Se il suo caro amico Trump negli Stati Uniti e prima di lui Bardella-Le Pen in Francia dovessero uscire vittoriosi dalle urne, l’asse nazional populista si consoliderebbe al di qua e al di là dell’Atlantico, con conseguenze geopolitiche e geoeconomiche tutte da prevedere. Certo è però che i populismi di destra già oggi hanno cambiato la scena politica del mondo occidentale. Che siano al potere o meno, hanno spostato il baricentro politico, legittimando discorsi e pratiche una volta considerati di estrema destra e oggi appunto diventati largamente condivisi (anti-immigrazione in primis).

Tradizionalmente, il 4 luglio è giornata di grandi fuochi d’artificio. L’America celebra l’indipendenza dalla corona britannica. Ma quest’anno il botto più grande potrebbe arrivare dall’ex madrepatria e a spararlo sarebbe sempre lui, “the most dangerous man in Britain”.

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