la filologa detective, i gialli de “L’ordine”

Cominciamo la pubblicazione a puntate di una serie di storie liberamente ispirate a Maria Corti e ambientate nella sua Val d’Intelvi. L’autore, scrittore e docente, è stato suo allievo

Finalmente ce l’aveva fatta: le lezioni all’università erano finite, quell’anno aveva fatto un corso tostissimo su Dante e l’Islam (perché se era vero che Dante sbatteva Maometto all’inferno con le budella di fuori, le «minugia» che gli pendevano tra le gambe, il poeta mostrava però una grandissima considerazione della cultura araba), sarebbe scesa solo per gli esami (curiosa di scoprire cosa ne pensavano i ragazzi di quella strana commistione tra culture e religioni), esami a cadenza mensile, dunque gestibili senza grossi fastidi. Era tornata nella frescura rigenerante di Pellio Intelvi, a casa, al Carlàsc, come veniva chiamata in paese l’avita dimora familiare, il Castellaccio – in effetti un’imponente costruzione dalle fondamenta addirittura seicentesche.

Quello era il primo giorno e a dare una sistemata alla casa, rimasta per mesi chiusa, era arrivata la fidata Marcolfa, una donna di mezza età, gran bisbetica ma anche gran lavoratrice, di quel genere di cui si dice, facendo un sospiro prolungato, che si è perso lo stampo.

«Che c’è, Marcolfa?»

«Ah, ieri sono andata a pulire anche un’altra casa. In paese l’è rivà in vacanza uno strano tipo, per me l’è un tipaccio, vestito come un barbùn, di stracci colorati e sbrindelloni. Parla italiano, ma l’è minga italiano, eh no, a me non mi frega. Ah, e poi, sacranon!, ho spazzolato a terra tante di quelle piume, tipo di canarino…»

«Un ornitologo…?»

Marcolfa squadrò Maria, poi sbottò secca: «Minga un astrologo, sciura professuressa, dev’essere un pilota o qualcosa del genere… l’ho visto un paio di volte piegato su una specie di tapetìn a fare esercizi e bauscià Mille miglia… Mille miglia…»

Dopodiché Marcolfa tornò al suo battipanni che agitava in aria con circense destrezza. E Maria tornò ai suoi studi: in quel periodo si stava occupando di autori e opere “fantasma” – scherzando diceva che era alle prese con il suo personale… fantasma dell’opera.

Se la fortuna è cieca, il destino ci vede benissimo, perché l’indomani mattina, sul presto, Maria si imbatté proprio nello strano tipo descritto da Marcolfa. Lo riconobbe dall’abito vistosamente colorato che portava. L’uomo si aggirava con fare nervoso ai margini del bosco appena fuori dal paese, lanciando truci occhiate a destra e a manca. Maria stava facendo la sua consueta passeggiata che le serviva per fare il punto sulle letture della giornata. Raccolse qualcosa da terra.

Osservò quanto raccolto per qualche secondo, poi si decise a rompere il ghiaccio. «Buondì. Per caso cerca un adorabile pappagallo verde delle Indie?» chiese gentile.

L’uomo si fermò meravigliato.

«Goloso di ghiande?»

Se possibile, lo stupore dell’uomo aumentò ancora di più.

Perché non aveva sentito l’affondo finale: «Che di nome fa Saladino?»

L’uomo era sbalordito. Come faceva quella perfetta sconosciuta a conoscere tutti quei particolari? Si trattava di dettagli molto precisi, frutto di una conoscenza diretta. Com’era possibile? Era arrivato lì solo il giorno prima e non aveva incontrato nessuno – se si eccettuava la signora delle pulizie che però non aveva avuto modo di vedere il pennuto in questione

«Dovrebbe trovarlo un po’ più avanti, a un centinaio di passi da qua, vicino a una torretta, non può sbagliare, vedrà».

Sbalordito, l’uomo non disse una sola parola e si diresse di corsa verso il punto indicatogli.

Nel pomeriggio Maria raccontò l’accaduto a Marcolfa, tornata per completare le pulizie. Battipanni in mano, la donna ascoltava ammirata Maria.

«Sacranon!» imprecò alla fine. «Ma come sapeva che era un… papagàl? L’aveva visto?»

«Oh, no, mai visto prima d’ora! Però mi sono detta che se in mezzo a tutto quel verde non lo trovava era proprio perché si confondeva tra gli alberi, dunque non poteva che essere verde. E quale animale ha un vistoso colorito verde? Ma i pappagalli. Doveva essere per forza un pennuto per vie delle piume di cui mi hai parlato ieri».

«Oh sì, santo cielo, tutte quelle piume, che disaster…»

«E i migliori pappagalli, si sa, vengono dall’India, per la precisione dal Nord.»

«E le giand… pardon, le ghiande?» la incalzò Marcolfa, agitando il battipanni.

«Quella è stata la parte più semplice. Ne avevo viste alcune mezze rosicchiate a terra, proprio ai piedi dell’antica torretta all’ingresso del bosco. Eppure poco prima, quando ero passata, non c’erano. Non poteva averle portate il vento che in quel momento non soffiava. E poi, come ho detto, erano mezze rosicchiate. Come da un becco. No. Dovevano arrivare da un’altra parte. Dovevano essere cadute dall’alto. Non c’era altra spiegazione logica. Anche la disposizione sul terreno, un ampio ventaglio, lasciava immaginare che fossero cadute da una certa altezza.»

«Quanto al nome, invece» proseguì Maria, «ho pensato che dovesse avere un carattere vivace e combattivo per mettere in crisi già di prima mattina il suo impalandranato padrone. La cosa aveva un sapore quasi militaresco. Dunque non poteva che portare il nome di un nobile condottiero. Ma quale? Non ho avuto dubbi. Il padre di tutti i condottieri. Il più antico. Il più saggio. Colui che ebbe l’ardire di strappare Gerusalemme ai crociati. Saladino».

Ci fu una breve pausa. Poi Marcolfa replicò: «A proposito di salatini, l’è ura della merenda, le preparo un bel tè eh, sciura professuressa?»

«Be’ direi che ce lo siamo proprio “meritato”» rispose Maria, giocando con l’origine della parola “merenda”, cioè «cose da meritare».

Mentre Marcolfa porgeva una tazza di tè caldo sotto le fronde di un secolare faggio in giardino, Maria la ringraziò e disse infine: «Eh, ma cara Marcolfa, senza quello che mi hai raccontato tu ieri non ci sarei mai arrivata però, non avrei mai capito di quale pasta era fatto quell’uomo… Insomma, tutto “merito” tuo e dunque questa merenda condividiamola insieme, prenditi una tazza e siedi qua a bere con me… si sta così bene qui “sub tegmine fagi”, eh?»

«Sì, stasera le faccio un bell’öff al tegamin, sciura professuressa. Anzi, al cereghin come diciamo noi altri.»

E Maria sorrise sorniona come una gatta.

Avete capito quali parole di Marcolfa hanno aperto la mente a Maria Corti? Un aiutino giusto perché è la prima puntata: si tratta di un fraintendimento, uno scambio di parole. In ogni caso, non disperate: troverete la soluzione nel numero dell’11 agosto insieme alla seconda puntata. Flavio Santi (1973), autore di questa serie di gialli ispirati alla figura delle scrittrice e filologa, è stato allievo di Maria Corti all’Università di Pavia e le aveva già dedicato un racconto su “L’Ordine” del 13 agosto 2023. Santi ha scritto la serie di indagini dell’ispettore friulano Drago Furlan pubblicate da Mondadori (“La primavera tarda ad arrivare”, 2016; “L’estate non perdona”, 2017). Dal 2004 cura voci per le enciclopedie e i dizionari Treccani. È anche docente di discipline umanistiche all’Università dell’Insubria, sede di Como, e poeta.

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