Il marketing ridisegna le città lombarde

Lucia Tozzi, studiosa di politiche urbane: “La Milano del dopo Expo modello del nuovo turismo. Punta sul lusso a discapito dei cittadini più fragili”

Dopo la pandemia le città sono cambiate velocemente. Il rilancio – turistico, ma non solo – dei centri urbani ha avuto un grosso impatto sui luoghi, rendendoli spazi sempre più esclusivi e invivibili.

Nel libro “L’invenzione di Milano. Culto della comunicazione e politiche urbane” (Cronopio, 2023), Lucia Tozzi prova a raccontare l’emblematico caso del capoluogo lombardo, la cui metamorfosi è avvenuta - a suo avviso - grazie a campagne di marketing, concentrazione della ricchezza in poche mani e privatizzazione della città pubblica.

Partirei dal titolo, cosa intende per l’invenzione di Milano?

È stato un titolo genialmente ideato dall’editore. Si riferisce all’invenzione dell’immagine che Milano si è voluta dare soprattutto a partire dall’Expo, anche se era una cosa che aleggiava già da prima. Milano è sempre stata inserita in un tessuto nazionale policentrico, con grandi e importanti città come Roma, Napoli, Bologna, che vantano di bellissimi centri storici conservati. Milano è sempre stata considerata molto importante anche culturalmente, ma veniva associata soprattutto al lavoro, alla produzione, alle fabbriche, alla ricchezza, alla borghesia morale. Milano come città grigia, anche visivamente: essendo stata ricostruita dopo la guerra per più del 40% naturalmente non aveva quell’aspetto un po’ pittoresco di altre città italiane e quindi era considerata ostile, assomigliava a una periferia.

Quando le cose sono iniziate a cambiare?

Attraverso la nuova architettura e il proliferare degli eventi si è voluto dire che invece Milano si trovava in una nuova stagione completamente diversa: fatta di colori, di internazionalità, di cosmopolitismo. Questa è stata l’invenzione, che poi è diventata una dinamica comune: tutte le città cercano di ospitare grandi eventi, così da poter essere messe sulla mappa internazionale. In questo modo le persone che prima non erano interessate a passare da quel luogo si accorgono invece che questo luogo esiste e quindi si promuovono turismo e modelli nuovi. L’invenzione di Milano è stata la grande finzione che fosse possibile crescere e contemporaneamente essere inclusivi e accoglienti; essere sempre più orientati al lusso, all’esclusività e contemporaneamente alimentare la coesione sociale e combattere le diseguaglianze.

Nel libro parla di attrattività delle città: si è passati a un modello che tende ad attrarre ricchezze, invece che produrle. A Milano il punto di svolta è quindi stato l’Expo?

Chiaramente la deindustrializzazione è un processo cominciato molto prima, anche se in linea di massima nella Pianura Padana la produzione è ancora forte, non è sparita. Si pensa che ormai esista solo il terziario, ma non è così. Però è vero che sempre di meno si legittima un’economia sia produttiva, sia di terziario: tutto sembra dover convergere verso l’attrattività dei flussi finanziari e turistici. Questo meccanismo non è stato inventato a Milano, è decollato in maniera quasi universale nel mondo col nuovo millennio e ha trasformato le economie statali, che prima ridistribuivano le risorse sui territori in maniera il più possibile uniforme: costruivano scuole, strutture, infrastrutture, spazi pubblici, ospedali, poste in tutte le città e in tutti i paesi, perfino nelle zone montane e in quelle interne. A un certo punto per attrarre i flussi di denaro e di persone molti Stati hanno riconvertito le economie e concentrato tutti i finanziamenti pubblici nelle aree, nei distretti e nelle città più competitive. In questo caso l’Expo è stato un momento decisivo per concentrare queste risorse su Milano. Prima ci aveva provato Torino con le Olimpiadi Invernali, ma gli era andata male per via della grande crisi economica globale.

Perché a Milano questo modello ha funzionato più che in altre città?

Milano si era aggiudicata la nomination proprio a cavallo della crisi. La preparazione di questo grande evento è cominciata quando la crisi stava già passando e lo Stato era pronto a reinvestire: ha concentrato le risorse su Milano, salvando un evento che poteva fallire, c’erano stati un sacco i problemi. La riuscita – soprattutto comunicativa – di questo grande evento ha fatto sì che venisse legittimata l’economia della vendita, in cui tutto ciò che veniva fatto, tutti i soldi investiti non avevano più lo scopo di servire i cittadini e gli abitanti della città e quindi una volta tratta la ricchezza redistribuirla tra i cittadini di Milano. Lo scopo era piuttosto quello di valorizzare il metro quadro: potenziare l’immagine e – di conseguenza – il metro quadro. Certo, per farlo bisognava costruire sempre di più questo tipo di edifici, che poi fanno parte di un lessico architettonico assolutamente banale e globale. Potrebbero essere qui, come altrove. Si è banalizzato un tessuto architettonico che invece era molto pregiato: quell’architettura che anche se sembrava grigia, in realtà – davanti a un occhio più esperto – era notoriamente di alta qualità. I nuovi quartieri servono per restituire un’impressione di città moderna, con spazi molto disegnati, commerciali e attrattivi, così che le persone siano invogliate a investire sia nel processo di costruzione sia di valorizzazione di vendita e scambio di questi edifici.

Che conseguenze hanno questi processi sulla popolazione?

Se la rendita viene alimentata a più non posso vengono acuite le diseguaglianze. La prima conseguenza è l’espulsione degli abitanti più fragili: quelli che erano in affitto, ma anche i proprietari poveri che si pensavano arricchiti e si sono poi ritrovati a non poter più reggere le spese né a sopportare la pressione di chi voleva comprare le loro case. Questa dinamica ha iniziato a impedire anche agli stessi lavoratori e agli studenti di accedere alla città. È anche una questione di investimenti: quando una città deve essere attrattiva le finanze, i soldi pubblici non vengono più allocati per ristrutturare le scuole pubbliche, i centri sportivi, le case popolari e le piazze o per rinforzare i mezzi di trasporto, ma vengono investiti nella costruzione di strutture che favoriscono il turismo e il lusso. Allora le corse dei tram diventano sempre più rare, le linee vengono tagliate, il biglietto della metropolitana inizia a costare di più.

Oppure succede che una metropolitana come la M4 – che avrebbe dovuto collegare tutti i quartieri più esterni tra di loro con le linee già esistenti a metropolitana – finisce per collegare l’aeroporto di Linate a San Babila, così che i turisti possano raggiungere il centro in soli sette minuti. Si tratta di miliardi di soldi pubblici. Questa cosa è grave, perché quanto concerne le manutenzioni ordinarie viene privatizzato. Quest’estate quando faceva molto caldo molti milanesi che non si sono potuti permettere le vacanze non hanno potuto neanche farsi un bagno in piscina, perché diverse strutture sono state privatizzate, costano tantissimo. Altre volte chiudono per lavori, per diventare spa di lusso.

Esistono dei modelli validi, che possono essere “copiati” per rendere le città meno esclusive e più vivibili per tutti?

Certo, basta guardare ad altre città del mondo: dal Canada a New York. Esistono anche moltissime città europee che hanno adottato delle misure: non solo Vienna, ma anche alcune città spagnole, francesi e olandesi. Calmierare il mercato delle case è una cosa che si fa con una serie di misure molto chiare. Si può regolamentare il mercato, mettere il tetto agli affitti, tassare tutti gli immobili vuoti. Si possono limitare gli airbnb – come ha fatto New York –, le case vuote e soprattutto ampliare l’offerta di case popolari, di proprietà pubblica. Bisogna essere molto chiari su questo: sono cose che si possono fare, basta volerlo.

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