La lezione di vita di un prof di provincia

Meglio di Keating dell’“Attimo fuggente” il Fumagalli degli anni Quaranta a Erba che rivive nel nuovo libro di Giampiero Neri. La politica, l’amore e la letteratura insegnati con passione e, soprattutto, con l’esempio

Molto meglio di John Keating, il professore de “L’attimo fuggente” interpretato da Robin Williams. Non ha fondato la “Setta dei poeti estinti”, ma è stato decisivo per la formazione di uno dei più grandi poeti che abbiamo in Italia: Giampiero Neri. E il suo magistero ci giunge proprio attraverso il nuovo libro di quest’ultimo, “Un insegnante di provincia” (Edizioni Ares), in un momento in cui appare così attuale da risultare a tratti persino commovente.

Cosa direbbe Luigi Fumagalli oggi, davanti a un Paese e a una politica che ancora non hanno trovato una visione condivisa della nostra storia, a giovani che inseguono la celebrità e/o diventano servi inconsapevoli delle “celebrities” (sul “pecorismo” si fonda il successo degli influencer)? Lui che «Nel primo dopoguerra [...] aveva detto che vale di più la vita di un barbone della fondazione di un impero».

Per “primo dopoguerra” Neri intende il periodo immediatamente successivo alla fine della Seconda guerra mondiale e, soprattutto, a quella che ha sempre chiamato “guerra civile” e non “di liberazione”. Una differenza lessicale non da poco, in una Repubblica fondata, più che sul lavoro, come ottimisticamente dice la Costituzione, proprio sulle guerre civili, fin dai tempi di Cesare e Pompeo, passando poi per quelli di Dante e Corso Donati (non a caso, dalla fazione dei guelfi neri fiorentini il poeta ha adottato il suo pseudonimo). Se non riconosciamo questi plurimi tentativi, inevitabilmente vani, di liberarci di una parte di noi stessi, per quanto brutta possa essere stata, non diventeremo mai un paese maturo. Ecco perché è importante leggere Neri in questi tempi così incerti, in cui stiamo riscoprendo incredibilmente faziosi - si raccomanda anche il precedente “Piazza Libia” che dà voce proprio alla saggezza di un barbone.

Giampiero Neri si chiamava ancora Giampietro Pontiggia quando conobbe Luigi Fumagalli, detto Gino. Correva l’anno (scolastico) 1937-38 all’Istituto Carlo Annoni di Erba dove il nostro poeta - classe 1927 e un’energia creativa da ventenne - frequentava le magistrali inferiori. E il loro legame non si è mai sciolto, fino alla morte di Fumagalli avvenuta nel 1980.

Da una ventina d’anni Neri va rielaborando gli insegnamenti del professore. Nella biografia “Il poeta architettonico”, curata da chi scrive nel 2005, l’ ex allievo lo rievocava così: «Fumagalli abitava ad Arosio e veniva a Inverigo, dove ci incontravamo in un bar che esiste ancora. È quello sulla curva prospiciente la stazione delle Ferrovie Nord... Una parte della cultura che lui trasmetteva, si rifaceva ai proverbi popolari. Era un amante del paradosso. Mi attira sempre, il paradosso, perché credo contenga una gran parte di verità, che non si conosce subito ma che emerge nel tempo, in contesti diversi».

Schierato ma non fazioso

Il pensiero di Fumagalli influenzò fortemente Neri anche in campo politico. Fascista deluso («Ma all’inizio era così convinto da costruire un fascio littorio durante le ore di applicazione tecnica»), aveva in seguito militato nel Partito d’azione. Un atteggiamento ideale e pragmatico allo stesso tempo. «L’insegnamento di Fumagalli», precisa il poeta, «era che nel momento topico bisogna essere o di qua o di là, intendendo i due opposti schieramenti. Ma era privo di faziosità, portato piuttosto a vedere quello che c’è di buono nell’uomo e non di cattivo. “La politica divide, io invece aspiro all’unità”, era un’altra sua affermazione ricorrente. Bisogna schierarsi, insomma, ma non in modo settario. Per questo non mi sento né di destra né di sinistra».

Ricordi che nelle prose poetiche si condensano e aumentano di peso specifico. A proposito dell’importanza di schierarsi: «Nella guerra civile il motto del professor Fumagalli era: “O di qui, o di là”, ma questo valeva per lui. / Una gran parte degli altri era stata a vedere come andava, prima di schierarsi con chi stava per vincere, o addirittura aveva già vinto». Tra le pagine scopriamo anche che prendere posizione costò parecchio all’insegnante: «In questa nuova veste di contrario al regime era stato arrestato nella primavera del 1944 con l’accusa di associazione cospirativa e rinchiuso nella prigione di San Donnino a Como». Tuttavia, dopo la guerra «Ben presto aveva abbandonato la politica attiva. / La politica, diceva, segue una parte e una parte è inferiore al tutto, anche se è una gran parte. / Lui aspirava al tutto».

Rigore e apertura mentale

Fumagalli, come ce lo riporta Neri, appare un virtuoso miscuglio tra rigore morale e apertura mentale. Come i paradossi in cui cercava la verità. Quelli che dispensava agli amici del caffè di Inverigo - non a caso in copertina è stata pubblicata la locale stazione ferroviaria in una cartolina del primo Novecento. Potrebbe essere Gino Fumagalli l’uomo col cappello che cammina accanto ai binari, intento a raggiungere il suo luogo prediletto, «dove lo aspettavano come sempre al pomeriggio» A proposito di paradossi: «Qualcuno aveva chiesto al professore: “Perché non ti trasferisci qui?”. / Lui aveva risposto: “E dopo, dove vado?”».

Ricorrerà ancora a un motto fulminante per difendere un ex alunno a guerra finita, quando «il corpo insegnante dell’Istituto Carlo Annoni si era disperso» e «il preside Merzagora, in cerca di ideali e forse anche di sé stesso [...] si era deciso a entrare nella comunità di Nomadelfia». «Anche il professor Fumagalli - scrive Neri - aveva finito di insegnare a quei ragazzi. Li aveva portati all’università. / Adesso toccava a loro. / In una circostanza ne aveva difeso ancora uno, il più giovane. Richiesto su che libri avesse letto di Gide, che aveva esaltato, ne ricordava soltanto uno. / A sollevarlo dall’imbarazzo era intervenuto Fumagalli: “Quando hai capito che è Barbera” aveva detto “non c'è bisogno di berne una botte».

Ha tanto ancora da insegnare a tutti noi, il professor Fumagalli. In primis sul modo di fare scuola e di appassionare gli alunni: «Entusiasta di vivere, forse. Certo di scrivere, come progettava. / Per questo, aveva detto dalla cattedra, occorreva una grande anima». Ma la cattedra non era fondamentale per lui: «alcune lezioni le teneva all’aperto, al parco comunale».

Anche sull’amore e la scrittura - o meglio, le ambizioni dello scrittore o aspirante tale - questo insegnante di provincia dice cose interessanti. Anzi, più che dirle, le fa. Perché è con l’esempio che si insegna, prima di tutto. «Diceva di avere amato una ragazza del suo paese, gravemente malata e destinata a vita breve./ Noi non sapevamo se ammirarlo o compiangerlo. / L’aveva sposata “in articulo mortis”, ma era sembrata una forzatura. / Senza volerlo, Fumagalli aveva posto un problema in ognuno di noi». E quando è ormai «sul viale del tramonto», si innamora, ricambiato della «figlia di un industriale del posto». «Il suo nome non lo conosceva nessuno. Per tutti valeva il soprannome, Poldo. / Portava i bluejeans, fumava e andava a zonzo in bicicletta. / una strana ragazza». E poi il prof covava «un progetto letterario, su un ragazzo che allevava lumache», tuttavia «ostentava noncuranza nei confronti dell’eventuale pubblicazione di un suo libro. / “È come farsi fotografare in mutande”, diceva».

Neri ha pubblicato con parsimonia nella sua lunga vita. Certamente la lezione di Fumagalli lo ha aiutato a trovare la strada, dopo aver perso il padre per mano partigiana dopo l’8 settembre.

Pietro Berra

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