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Domenica 03 Novembre 2024
La sera di Ramponio: un dramma italiano
Vi proponiamo la testimonianza di un autore che ha vissuto in prima persona la tragedia in cui ottant’anni fa persero la vita quattro ragazzi per mano di un milite della Decima Mas
Nella cosiddetta “Italia dei borghi”, cioè dei luoghi di memoria dov’è custodita e trasmessa la tradizione popolare più autentica del nostro “bel Paese” c’è un paese prealpino che, come altri e più di altri, può esibire la propria piccola storia come parte significativa della gran Storia d’Italia.
La valle nella storia
Il paese prealpino è Ramponio-Verna, oggi accorpato nel Comune Alta Valle Intelvi (comprendente anche Pellio, Scaria e Lanzo). La sua rilevanza civile e politica è legata anzitutto alla insorgenza antinapoleonica che nel 1806 vide protagonisti il parroco don Bartolomeo Passerini (1762-1807) e il sindaco Bartolomeo Molciani (1777- -1807), fieramente animati da istanze di libertà contro lo strapotere imperiale. Il loro sacrificio (com la decapitazione in Como il 5 maggio 1807) è ricordato da una insegna murata a Ramponio, nello slargo Molciani lungo la via Passerini.
Meno remoto, anche se anch’esso lontano nel tempo, è il tragico fatto di sangue che vide Ramponio diventar nuovamente teatro di un dramma durante il triennio della lotta di liberazione dal nazi-fascismo. Il tragico evento è in questa pagina rievocato dall’unico testimone superstite, che oggi, a novantatré anni, trasmette il proprio ricordo di allora, quando aveva tredici anni, a futura e perenne memoria.
Alle cinque della sera di sabato 4 novembre 1944, il ragazzo in bicicletta è giunto da San Fedele al bivio dove dall’asfalto dello stradone si stacca la via sterrata che, impennandosi dapprima per poi subito digradare, porta a Ramponio. In cima alla salita è raggiunto da un camion procedente in senso opposto a rilento, talché Giorgio riesce a vedere chi c’è al volante e coloro che dietro, in piedi sul cassone a cielo aperto, cantano a squarciagola “Vento, vento, portami via con te ...”. Alla guida c’è uno sconosciuto in borghese, ma sul predellino accanto al guidatore, ritto in piedi e proteso all’infuori, c’è un giovanissimo “marò” della Decima Mas, un imberbe biondino dal fare spavaldo e col mitra a tracolla.
Il gruppetto canoro è formato da quattro paesani che Giorgio conosce assai bene e che, riconosciutolo, non mancano di gesticolare e salutarlo alla voce; “Ciao, milanès!”. Sono il vecchio Caprani, “Capranivècc”, il barbiere Luigi Piazzoli detto “Miga”, lo spazzino comunale Giuseppe Bivona detto “Messina” e il Giovanni Cicolari, un bergamasco ammogliato da poco tempo a una giovane del paese.
Il carico di riso
Il camion era giunto da Mantova con un carico di riso da distribuire gratuitamente fuori tessera. Era elargito dalla munificenza del commendator Perdòmini, un facoltoso proprietario di risaie sfollato a Ramponio, desideroso di ingraziarsi il favore del paese e nel contempo propenso a festeggiare la ricorrenza di Vittorio Veneto - 4 novembre 1918 - quando l’Italia aveva vinto la guerra: “e come tornerà a vincerla!”, dicevano i “marò” della Decima Mas che avevano preso l’impegno di proteggere il trasporto del riso da eventuali atti di sabotaggio o saccheggio. I quattro sul camion erano gli scaricatori ingaggiati con congruo compenso. Dopo la svelta pedalata in discesa, il Giorgio è a casa da circa mezz’ora quando arriva in paese l’inquietante notizia che al bivio c’è stata una sparatoria e ci sono dei feriti. Subito si mette in moto un corteo di persone.
Il Giorgio corre davanti a tutti, recando in una mano dei teli bianchi e nell’altra una bottiglia d’aceto. È fermato da un “alt!” perentorio, intimato a gran voce da dei militi appostati a sbarrare il passo. Visto che lui è un ragazzo che cerca di portare aiuto, lo lasciano passare. Riprende a correre.
Colpo
Alla curva prima del bivio si arresta di colpo. A fermarlo è un colpo al cuore. Disteso per terra, a faccia in su, c’è il “Miga”. Non l’ha mai visto così pallido. Una macchia color rosso-sangue è fiorita sul suo petto. I suoi occhi, sono aperti, ma sembrano due vetri opachi, come il cielo che non vedono più. Nello sguardo ha la morte. Poco più in là, dopo il bivio, giacciono senza vita anche i corpi del Messina e del Cicolari. Solo il Capranivécc, infrattatosi tra i cespugli, è riuscito a salvarsi.
Che cosa è accaduto? La sovraeccitazione del quartetto canoro a bordo del camion ha reso elettrica l’atmosfera e contagiato il biondino della Decima Mas (il diciottenne Egidio Pulga, poi elogiato dai suoi superiori) inducendolo dapprima al cameratismo. Poi una insinuazione sulla sua virilità e una mimica scherzosa quanto incauta, con mani atteggiate a mo’ di revolver, gli ha fatto credere d’essere stato intrappolato da quattro partigiani malintenzionati. Impaurito, ha perso la testa, ha imbracciato il mitra, ha sventagliato le raffiche e ha seminato la morte. I quattro, da vivi, erano stati brava gente, che avrebbe potuto e voluto vivere in pace nell’Italia del domani.
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