Le città senz’anima: anche Como rischia

Bisogna cercare la bellezza anche negli spazi residuali e “ordinari”: è bello un luogo che favorisce l’incontro tra le persone. Un turismo solo quantitativo contribuisce a mettere a repentaglio l’ecosistema urbano

Le città hanno un’anima? Quel Genius loci con cui, secondo gli antichi, si doveva scendere a patti e rispettare, per acquisire la possibilità di abitare un luogo?

La lezione di Calvino

Commentando le sue “città invisibili”, Calvino sottolineava come le città siano fatte non solo di scambio delle merci, ma anche di scambio di parole, desideri, ricordi. L’anima di un luogo, dunque, è quell’insieme di caratteristiche sociali ed economiche, fisiche e architettoniche, di usi e abitudini che lo rendono riconoscibile a chi lo abita e al mondo. Se i posti in cui viviamo ci rendono chi siamo, allora la ricerca della qualità, sia nella dimensione civica che fisica degli insediamenti umani, è la precondizione per rivitalizzare quel senso di appartenenza, oggi logorato e in molti casi totalmente compromesso, che è anche presupposto per innescare cambiamenti partecipati collettivamente.

Restituire urbanità ai luoghi della quotidianità non può non coinvolgere, quindi, la costruzione di politiche focalizzate sulla centralità della questione sociale e sulla rilevanza della dimensione civile delle trasformazioni per evitare di affidarle alle sole dinamiche innescate dal valore della rendita e dello scambio.

Il nostro benessere fisico e psichico ha necessità di luoghi che siano relazionali e identitari, come ci ricorda Marc Augé in contrappunto con gli spazi “atopici” della nostra contemporaneità, quei “non-luoghi” caratterizzati dalla provvisorietà e dall’individualismo nelle dinamiche sociali o quelle realtà residuali dell’emarginazione, spesso rimosse dalla narrazione ufficiale. I luoghi dell’abitare non possono essere enclavi parcellizzate e privatizzate, indifferenti e anonime. L’anima delle città, infatti, difficilmente risiede nella sommatoria di territori specializzati: la città del consumo, la città dormitorio, quella del turismo e dello svago o della finanza.

Ricostruire urbanità ingaggia piuttosto la nostra capacità di conservare la mixité funzionale e sociale fatta di relazioni la cui qualità investe i temi della memoria e della bellezza della città e la loro connessione con etica e politica. La memoria, non quella nostalgica, ma quella fondata sulla sedimentazione della cultura dell’uomo, perché ne custodisce la trasformazione nel tempo. La bellezza, in quanto riguarda il nostro equilibrio psichico e sociale, quindi, il nostro comportamento nelle relazioni con gli altri: “bellezza come funzione civile”, citando Giancarlo Consonni. Si noti bene che la ricerca di bellezza non riguarda solo i luoghi deputati e più iconici, anzi, la scommessa futura è di cercarla e valorizzarla proprio in quei territori residuali e “ordinari” che di fatto rappresentano il potenziale rigenerativo della città che verrà. Se la città deve favorire la relazione, allora anche i suoi spazi devono facilitare l’incontro. È la sfida del rammendo di cui ci parla Renzo Piano. In questo non c’è distanza tra bellezza e politica. Abbiamo bisogno di città più accoglienti e rispettose delle “diversità”, ovvero di politiche - per l’appunto - inclusive dove l’attenzione al bene comune e il contrasto alle diseguaglianze siano presupposti per innescare quel rapporto tra lo spazio fisico e il vissuto dei suoi abitanti.

Uno sguardo al Lario

E Como? Como conserva un’anima? Chi la abita la riconosce ancora come sua?

Dare anima ad una città significa, innanzitutto, farsi carico di una visione di prospettiva e di progetto. che dia un senso ad una comune condivisione civica.

Da molto tempo, purtroppo, si registra un’aggravata difficoltà nell’ individuare strategie e prospettive capaci di governare le trasformazioni dei luoghi preservandone l’identità. Sembra che il destino di questa città sia inevitabilmente monoculturale: città della Seta un tempo, città turistica, oggi. Con profonde differenze, però. La città industriale, con tutti i gravi limiti e le pesanti contraddizioni, ha comunque innescato in alcuni momenti storici dinamiche culturali e creative non lontanamente riscontrabili nel modello contemporaneo, fondato principalmente sui meccanismi della rendita di posizione e del consumo.

Del resto, è difficile ritrovare identità in contesti soggetti ad una incontrollata pressione esogena di un overturismo di fatto solo quantitativo, non compensato da adeguate ricadute sul sistema dei servizi e della mobilità.

Un consumo distratto “mordi e fuggi” e un progressivo, vero esproprio nell’uso e nella percezione dei luoghi da parte dei suoi abitanti.

Gli ecosistemi urbani hanno equilibri delicati e il turismo di massa - “industria pesante” l’ha definita Marco D’Eramo - pur comportando benefici nella bilancia economica commerciale, ha risvolti critici da governare per il pesante conflitto con le altre funzioni urbane e, in generale, per l’impoverimento della qualità e della fruizione della città proprio di coloro che ne dovrebbero essere i primi destinatari, gli abitanti, appunto.

Il fenomeno non è circoscrivibile alle sole parti che lo generano ma, nel tempo, è inevitabilmente destinato ad incidere sull’intera struttura urbana.

Si pensi al declino demografico di Como rispetto alle medie città del sistema territoriale lombardo. Un processo legato certo alla tendenza strutturale del paese, ma che per Como ha cause anche nella esponenziale conversione degli alloggi in affitti brevi e nelle conseguenti ricadute sui valori immobiliari. Una questione che investe e aggrava fortemente il tema del diritto alla casa, soprattutto per le nuove generazioni.

Energie diffuse

O, ancora, la progressiva specializzazione e la conseguente omologazione del tessuto economico e sociale in comparti – turismo e ristorazione - a basso valore aggiunto che, nel tempo, ne limitano la diversificazione e l’attrattività verso nuove attività più generative.

Chiarire e regolamentare il perimetro dell’impatto turistico, agire sulla riqualificazione dello spazio pubblico di relazione e contro la sua crescente privatizzazione, sono indubbiamente i primi immediati e necessari passaggi di tutela e di rispetto verso i cittadini. Credo, però, che il vero segnale per riaffermare identità resti quello di riscoprire, valorizzare le energie diffuse della città. Questo obbiettivo si fonda, innanzitutto, su un’idea di città capace di sviluppare sostenibili opportunità dell’abitare, di incentivare l’insediamento di imprese innovative, di generare occasioni per le nuove generazioni, di riposizionare l’offerta culturale in una programmazione espositiva e museale di qualità, in spazi di aggregazione magari per arte e musica, centri civici di quartiere e molto altro. È necessario partire dalla rimozione di quella sostanziale sfiducia nell’investimento in nuove infrastrutture di servizi per la città pubblica. In questo, il sostegno pubblico di servizi e presidi, soprattutto nella casa e nella cultura diffusa, non può essere misurato solo in termini di efficienza contabile, ma appunto nella loro ricaduta sociale per una qualità della vita più equamente distribuita e accessibile.

Dare vita a luoghi di convivenza civile è un lavoro paziente e impegnativo fatto di volontà politica, di capacità di ascolto del cittadino e di molta sperimentazione sui modelli di regolamentazione e di gestione. Como ha le potenzialità e le risorse (demografiche, culturali, simboliche ed economiche) per candidarsi a laboratorio di un progetto sulla urbanità evitando di lasciare, per negligenza o rassegnazione, il proprio futuro alle spalle.

Perché, se ci pensiamo bene, l’anima della città siamo proprio tutti noi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA