Ordine
Domenica 07 Agosto 2022
Le Santelle montane: arte sacra da salvare
Particolarmente numerose sul versante orobico e retico della media Valtellina erano posizionate in punti strategici per favorire momenti di preghiera dei viandanti. Ma essendo per lo più private nessuno le tutela
Le “santelle” (le edicole campestri dedicate alla Vergine e ai santi) sono diffuse in tutta l’area prealpina e alpina lombarda. Di notevole intensità è la presenza di questi manufatti nei comuni del versante orobico e retico della media Valtellina. Qui la presenza diffusa dei segni di una profonda religiosità popolare diventa espressione comune di un radicato rapporto con l’ambiente e il paesaggio. Le “santelle” sono di varia tipologia da piccoli ed elementari altarini e croci campestri fino a strutture in muratura di medie dimensioni con affreschi, statue e varie decorazioni. Ad Ardenno sono chiamate “Cincétt”, nel morbegnese “Gisöi”. Spesso esse risalgono al periodo che va dal XVII al XIX secolo, ma esistono anche strutture più antiche con affreschi del XV e XVI secolo.
Architetture rurali
Pur in presenza di molte varianti, in genere le “santelle” sono costruite in muratura ed è frequente che abbiano una struttura indipendente: sono intonacate, con tetto a due falde protetto da un manto in piode selvatiche a profondità variabile. Il fronte presenta una nicchia, spesso ad arco protetta da una robusta inferriata. A differenza degli affreschi votivi, un altro capitolo interessante del patrimonio artistico popolare, in genere realizzati al termine della ristrutturazione di un edificio e ad esso comunque strettamente legati, le santelle si rapportano sempre al paesaggio, a confini spaziali più ampi.
È significativo il fatto che tali strutture siano quasi sempre situate in luoghi significativi: negli incroci di strade e sentieri, nei pressi di gruppi di case, ex-voto per ricordare lo scampato pericolo da epidemie, oppure per ricordare la morte incidentale di qualcuno, in luoghi panoramici, all’imbocco delle valli, in posizioni strategiche lungo i sentieri. La preghiera era, del resto, nella società tradizionale, una esigenza quotidiana continua e non si limitava all’interno delle chiese e alle occasioni canoniche della liturgia. L’Angelus interrompeva il lavoro per varie volte nel corso della giornata, così come i misteri del rosario: il senso del sacro e del profano erano radicati in tutti. Nelle processioni campestri si pregava e si implorava un buon raccolto e la protezione dalla tempesta, dai fulmini e da ogni possibile calamità.
La preghiera era ritenuta non solo una espressione della religiosità, ma una pratica utile per il buon esito delle attività quotidiane e per una valida intercessione rispetto ai vari eventi della vita. Implorare il nome dei santi era importante anche - soprattutto dopo il Concilio di Trento - per intercedere per le anime del Purgatorio.
Preghiera in cammino
Una pausa del cammino sui sentieri di montagna portava a una riflessione sulla caducità della vita e sui pericoli di una morte priva della Grazia di Dio. Per questo frequentemente queste edicole sottolineavano la rappresentazione cruda delle fiamme dell’Inferno e del Purgatorio. Non solo, all’interno di un forte senso del sacro, era necessaria una chiara geografia dei luoghi, che ne distinguesse il valore. Non tutti i luoghi sono uguali per chi crede: alcuni sono più vicini a Dio, altri sono pericolosi per il corpo e per l’anima ed è necessario che il paesaggio evidenzi queste distinzioni, che sono peraltro presenti nella memoria collettiva della comunità.
In queste pagine riportiamo alcuni esempi del Comune di Ardenno dove è sempre stata intensa l’emigrazione verso Roma. Questo fenomeno ha coinvolto anche le “santelle” che, in certi casi, sono realizzate proprio a spese degli emigranti. Una di queste, di grandi dimensioni, posta lungo il sentiero acciottolato che dal fondovalle risale verso Biolo e Pioda ha una particolare importanza storica e ci rivela vicende complesse legate ad una immagine miracolosa. Essa fu costruita nel 1800 da una famiglia di Biolo emigrata a Roma devota della “beata Vergine Maria delle Grazie di porta Angelica di Roma” come leggiamo sotto la nicchia interna in cui è stata realizzata una riproduzione del dipinto originale.
Icona miracolosa
Questa icona, ritenuta miracolosa, fu portata a Roma da Gerusalemme nel 1587 dall’eremita calabrese Fra Albenzio De Rossi e fu traslata solennemente nella chiesa di Santa Maria delle Grazie a porta Angelica nel rione Borgo l’11 giugno 1618. Questa chiesa fece però una brutta fine: nel 1939 infatti fu demolita per fare spazio ad un edificio residenziale. L’icona bizantina (XI-XII) però non andò perduta e finì a S. Maria delle Grazie al Trionfale, dove, dopo un accurato restauro, si trova tuttora: essa raffigura la Madonna che allatta il Bambino mentre quest’ultimo mostra con la mano sinistra un cartiglio con una frase del Libro di Isaia: «Lo spirito del Signore è sopra di me».
Una scritta esterna sulla facciata dell’edicola ci ricorda, a grandi caratteri, che: «a chiunque, confessato e comunicato, visiterà la cappella nel primo giorno dell’anno e nel giorno di ognissanti è concessa l’indulgenza plenaria». Molte santelle non sono di proprietà della parrocchia ma di proprietà privata, realizzate da una o più famiglie. A volte esse erano già delle piccole chiese per frazioni lontane, che solo a fatica potevano raggiungere la chiesa parrocchiale. È il caso della cosiddetta “Gésa Vègia” di Piazzalunga, sempre ad Ardenno, poco più di una santella, con il tetto a due falde e l’interno completamente affrescato, con un ciclo del XV secolo centrato sulla Passione e in particolare sulla Crocifissione tema centrale degli oratori medievali (dipinto conservatosi miracolosamente).
Nella maggior parte dei casi questi beni, proprio perché privai, non sono tutelati e soggetti a vincolo e, se non sono demolite o abbandonate al degrado, subiscono interventi di pesante ristrutturazione e di pitturazione senza alcuna attenzione alle caratteristiche originarie. Si deve auspicare una sempre maggiore attenzione da parte degli enti comunali e degli strumenti di pianificazione territoriale affinché tali beni siano censiti accuratamente e oggetto almeno di specifica e rigorosa normativa di tutela locale affinché ogni intervento sia realizzato con materiali adeguati e secondo il principio del restauro conservativo, in particolare per quanto riguarda i dipinti e gli affreschi (già in molti casi pregevoli cicli sono stati completamente rovinati da pittori estemporanei).
© RIPRODUZIONE RISERVATA